La tubercolosi è una malattia infettiva causata nell’uomo da Mycobacterium tuberculosis.
Il micobatterio in genere si trasmette per contatto diretto e prolungato con persone infette, le quali, essendo spesso colpite da forme polmonari, manifestano la tosse attraverso cui eliminano all’esterno il germe. Un’analoga forma di malattia colpisce il bovino ed è causata da Mycobacterium bovis. Questo batterio può infettare anche l’uomo e si trasmette soprattutto attraverso il latte di animali infetti, consumato crudo, non pastorizzato o non bollito. La malattia nel bovino è eradicata nella Regione Marche, con l’eccezione di alcuni focolai presenti in bovini da carne in un’area limitata della provincia di Macerata. M. bovis può infettare oltre al bovino e all’uomo diverse specie di animali domestici e selvatici, tra cui il cinghiale. Infatti da diversi anni nelle medesime aree in cui la tubercolosi è presente nel bovino, la malattia è stata identificata anche in questa specie. Il passaggio dell’infezione tra bovino e cinghiale è avvenuto probabilmente attraverso bovini malati o le loro carcasse non rimosse dal pascolo e di cui i cinghiali si sono nutriti. Questa specie si è dimostrata un ottimo indicatore della presenza della malattia in un territorio a causa delle sue abitudini alimentari (onnivori e necrofagi) ed del carattere gregario che ne favorisce poi la diffusione all’interno di gruppi familiari costituiti da numerosi individui.
Come vengono contagiati dalla tubercolosi gli animali selvatici e come si presentano le lesioni?
Affinché un cinghiale possa essere contagiato dall'agente causale della tubercolosi è necessario il contatto stretto con un animale infetto, sia esso un bovino che un altro cinghiale. Le condizioni favorevoli per la trasmissione della malattia si verificano soprattutto nei luoghi dove bovini e cinghiali si radunano in gran numero come le fonti di abbeveramento durante i periodi di siccità e i punti di foraggiamento della selvaggina. I cinghiali eliminano nell’ambiente circostante il micobatterio della tubercolosi con la saliva, con l’espettorato, con le feci e con il latte materno. I cinghiali, quindi, possono contrarre la malattia per contatto diretto tra loro, dalla madre attraverso il latte infetto o anche mangiando i visceri di altri animali infetti da tubercolosi. Proprio in considerazione di ciò, è molto importante che i cacciatori non abbandonino visceri di animali abbattuti durante le battute di caccia e rispettino il divieto di alimentare i cinghiali nei periodi precedenti le battute.
Nel cinghiale sono colpiti con maggiore frequenza i linfonodi della testa, in particolare quelli disposti in corrispondenza dell’angolo mandibolare inferiore dove si possono osservare i tipici noduli tubercolari delle dimensioni variabili da un grano di pepe, fino alle dimensioni di una noce. I tubercoli contengono in parte masse grigio-giallastre, pastose o dure e in parte vanno incontro a calcificazione.
Queste lesioni devono obbligatoriamente essere segnalate al Veterinario che effettua la visita ispettiva degli organi dell’animale abbattuto a caccia o in selezione, il quale le invierà per l’accertamento diagnostico all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria Marche. E’ quindi molto importante che i cacciatori pongano particolare attenzione a questo tipo di lesioni, come anche disinfettino tutto il materiale utilizzato per il taglio se contaminato (piani di lavoro, coltelli, ecc.).
Quali sono i potenziali rischi per l’uomo?
Le lesioni presenti nei linfonodi, possono essere potenzialmente pericolose per l’uomo se sono contenute in masse muscolari che vengono utilizzate per preparare insaccati, anche se stagionati, o se la cottura della carne non avviene in maniera completa. La visita ispettiva effettuata contestualmente al prelievo del diaframma per la ricerca di Trichinella, dà tutte le garanzie di salubrità della carcassa purché sia effettuata in maniera dettagliata (controllo di testa, gola, polmone, fegato e milza), come peraltro prescritto dalla normativa regionale.
La Tubercolosi nella Regione Marche
I primi casi di cinghiali positivi per tubercolosi bovina sono stati diagnosticati dall'IZSUM nell'anno 2002. Per molti anni gli animali positivi sono stati identificati sempre nella medesima unità di gestione nell’area del San Vicino (Comune di Matelica), area di competenza di un’unica squadra di caccia. Nella stessa area, nel 2004, è stata dimostrata la presenza di una mandria allo stato brado dove la maggior parte degli animali sono risultati infetti tanto da giustificarne il successivo abbattimento totale avvenuto nel 2005. La trasmissione dai bovini al cinghiale in questo caso è stata attribuita all’attività necrofagica dei cinghiali su carcasse di bovini infetti e morti al pascolo durante l’inverno 2004-2005.
Da quel momento la malattia ha continuato ad essere presente nel cinghiale come anche nel bovino con periodi di esacerbazione alternati a periodi di apparente remissione. Non è chiaro se e come la malattia possa tornare dal cinghiale al bovino, tuttavia la contaminazione del pascolo rappresenta un’eventualità da non sottovalutare. Fino ad oggi tuttavia i focolai di malattia nel bovino, in gran parte non hanno avuto collegamenti diretti ed evidenti con le aree di pascolo frequentate da cinghiali colpiti dalla malattia.
Il numero dei cinghiali positivi è progressivamente aumentato nelle stagioni di caccia 2014-15 e 2016 fino a rendere necessaria una strategia di contenimento sanitario ad hoc per il cinghiale, da affiancare alle azioni di risanamento in atto da tempo nel bovino. Tali azioni devono comunque seguire una finalità di contenimento della malattia, in quanto è tecnicamente dimostrato che l’aumento dello sforzo di caccia ha un effetto dispersivo sulla popolazione di cinghiale e quindi di diffusione della malattia. Una strategia sanitaria sarà quindi concordata con gli enti di gestione, secondo un modello sperimentale fino ad oggi mai praticato in Italia.
Conclusioni
Attualmente non sono presenti focolai di tubercolosi nel bovino. E’ ovvio che nell’area colpita la sorveglianza deve essere mantenuta al più alto livello possibile sia negli animali domestici che selvatici. L’infezione nel cinghiale è ancora presente e per tale specie è necessaria un’attività ispettiva dettagliata e rendicontata che permetta di misurare l’andamento epidemiologico della malattia.
Per rendere questo possibile ogni animale cacciato viene identificato attraverso una fascetta, le sue caratteristiche biometriche, la località e la squadra di caccia vengono segnalate su apposita scheda al veterinario ispettore che procede alla vista sanitaria e al prelievo di muscolo per la ricerca della Trichinella. In presenza di un sospetto di TBC procederà al prelievo degli organi da inviare al laboratorio assieme al prelievo obbligatorio per la Trichinella.
Le battute di caccia, effettuate secondo le norme che la regolamentano, consentono ai Servizi Veterinari di avere conoscenza delle infezioni che circolano in un determinato territorio. E’ di fondamentale importanza quindi, per tutelare la salute pubblica, instaurare una stretta e proficua collaborazione tra cacciatori, loro organizzazioni, Servizi Veterinari e Istituto Zooprofilattico.
L’IZS in collaborazione con gli AATTC ha prodotto un opuscolo informativo al fine di sensibilizzare i cacciatori sull’importanza della corretta visita sanitaria negli animali abbattuti e sulle corrette pratiche di macellazione al fine di evitare la trasmissione della malattia all'uomo e la sua diffusione tra gli animali. L’opuscolo sarà diffuso dalle AATTC provinciali e a breve sarà consultabile sul sito www.veterinaarialimenti.marche.it
Per approfondire
Autori: Giorgia Angeloni (IZSUM), Giorgia Capezzone (SIAOA ASUR Marche AV2), Stefano Gavaudan (IZSUM)