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DIETA PLANT-BASED: MODA O STILE DI VITA?

  • 19 dicembre 2024
  • Autore: Redazione VeSA
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La comunità scientifica ha un interesse crescente nei confronti dell’alimentazione Plant-Based e infatti basta vedere che la key word utilizzata “Plant-based nutrition” in Pub Med presenta circa 21000 ricorrenze.

La dieta Plant based è un approccio alimentare che si concentra principalmente, o esclusivamente, sul consumo di cibi di origine vegetale, come frutta, verdura, cereali integrali, legumi, noci e semi.

Quando si parla di dieta Plant-based è molto difficile tra l’altro dare un’interpretazione univoca, e questa mancanza di univocità, genera confusione non solo tra i non addetti ai lavori, come ad esempio i consumatori, ma anche tra gli esperti del settore. Questo è altresì fondamentale quando si prendono in considerazione studi (epidemiologici e/o clinical trial) che vogliano mettere in relazione l’adozione di una alimentazione plant-based e la prevenzione di patologie cronico-degenerative. È fondamentale capire di quale tipologia di Dieta Plant Based si stia trattando.

Le diete a base vegetale costituiscono una vasta gamma di modelli dietetici che enfatizzano gli alimenti derivati da fonti vegetali abbinato a un minor consumo o all’esclusione di prodotti animali. Le Diete Vegetariane costituiscono un sottoinsieme delle diete a base vegetale, che può escludere il consumo di alcune o di tutte forme di alimenti animali, così come è stato definito dall’Oms nel 2021:                                    

  • Semi-vegetariana che assume definizioni e descrizioni differenti a seconda della Nazione, ed è sostanzialmente una dieta a ridotto contenuto di carne bianca e rossa, e per il resto è simile all’onnivora;
  • Vegetariana con esclusione di carne e pesce;
  • Pesco-vegetariana in cui si consumano latte, uova e pesce;
  • Variante della latte-ovo vegetariana in base alla quale viene consumato anche il miele;
  • Vegan con nessun consumo di prodotti di origine animale

Nel complesso, una dieta prevalentemente vegetale, povera di sale, grassi saturi e zuccheri aggiunti è raccomandata come parte di uno stile di vita sano. Tali diete sono ampiamente associate a un rischio inferiore della mortalità prematura e offrono protezione contro le malattie non trasmissibili (NCD) (OMS 2021).

Kent et al. (2021) descrivono il termine Plant Based Diet come una serie di modelli dietetici ad ampio spettro che enfatizzano il consumo di prodotti vegetali, come frutta e verdura, cereali integrali, legumi, noci e semi e alternative vegetali e limitano o escludono prodotti di origine animale.

La definizione data dall’OMS di Dieta Mediterranea include la stessa tra le “Diete Plant based” poiché prevede un elevato consumo di alimenti di origine vegetale, per lo meno quello che prevede l’aderenza alla “vera “dieta mediterranea, con prevalenza di piatti unici. Il corrispettivo dietetico d’oltreoceano è la Dieta Dash che fondamentalmente è una Dieta Mediterranea ma senza l’utilizzo di olio evo.

Nel 1944 Donald Watson coniò il termine Vegan in Inghilterra, diventando il cofondatore della Vegan society, sempre in Inghilterra.

La dieta Vegan prevede l’esclusione di carne, pesce, pollo, latte e derivati, uova e miele per motivi prettamente etici, ovvero per evitare lo sfruttamento animale. Ciò significa che la dieta vegan

 non necessariamente equivale a dieta nutrizionalmente bilanciata, anche se poi nel corso degli anni sono stati dimostrati effetti benefici sulla salute.

Nel 1975 venne usato per la prima volta il termine Plant Based dal “Journal of the Canadian Dietetic Association” con riferimento però ad una dieta latto-ovo-vegetariana. Soltanto negli anni ‘80 T.Colin Campbell riprese il termine plant based fornendone una valenza salutistica e non etico-ambientalista, caratterizzando questo tipo di dieta come un modello a basso contenuto di grassi, alta concentrazione di fibra e prodotti vegetali. Così definita la dieta dovrebbe prevedere un’alimentazione al 100% vegetale; tuttavia, ancora oggi c’è molta confusione e questo modello alimentare viene anche usato nel caso in cui in una dieta a prevalenza vegetale si introducano comunque alcune fonti animali.

Da circa dieci anni si parla ormai di WFPBN, ovvero di “Whole Food Plant Based Nutrition”, nutrizione completamente vegetale e basata su cibi integrali nella quale si pone anche molta attenzione alla qualità dei cibi, la loro provenienza e l’ambiente nel quale vengono coltivati e con quale metodo. È una dieta incentrata su aspetti di salute e volta alla prevenzione.

La criticità riguarda soprattutto il termine vegetariano, la sua accezione e il suo utilizzo all’interno di studi e della letteratura scientifica poiché ciò comporta anche l’esatta interpretazione dei risultati ottenuti. All’interno del termine omnicomprensivo vegetariano, ad esempio, sono ricomprese anche varianti della dieta vegetariana quali la macrobiotica, la fruttariana e la crudista.

I tre termini, vegan, plant based e whole food plant based nutrition, non sono sinonimi tra di loro, ma nonostante questo talvolta vengono usati come tali.

Per alcune persone, la dieta plant based può essere una moda alimentata da tendenze sociali, influencer o dal desiderio di seguire ciò che è popolare. Questo approccio è spesso legato a motivazioni superficiali, come la ricerca di un dimagrimento veloce o il fascino per alimenti etichettati come “Healthy”. In questi casi, chi la segue potrebbe non avere un impegno profondo nei confronti di questo regime alimentare e potrebbe abbandonarlo una volta cessata la tendenza.

Per altri, la dieta plant-based rappresenta una scelta consapevole e sostenibile, radicata in motivazioni più profonde:

  • Salute: studi dimostrano che una dieta ricca di cibi vegetali può ridurre il rischio di malattie croniche, come diabete, malattie cardiache e alcuni tipi di tumori.
  • Etica: il rispetto degli animali e l’opposizione allo sfruttamento animale spingono molte persone a scegliere un’alimentazione vegetale.
  • Sostenibilità: una dieta plant-based ha un impatto ambientale inferiore rispetto a quella basata su prodotti di origine animale, contribuendo alla riduzione delle emissioni di gas serra, al risparmio idrico e alla tutela delle risorse naturali.

Rilevanza del fenomeno

Metodologie di raccolta dati

La raccolta di dati sul numero di vegetariani nel mondo può essere complessa a causa delle diverse definizioni di vegetarianismo e delle variazioni culturali. Le indagini e i sondaggi sono i metodi più comuni utilizzati per raccogliere queste informazioni. Tuttavia, la validità e l’affidabilità di questi dati possono variare notevolmente.

Le indagini su larga scala, come quelle condotte da organizzazioni internazionali come la FAO (Food and Agriculture Organization) e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), forniscono una panoramica globale ma possono non riflettere accuratamente le pratiche locali. Inoltre, i sondaggi online possono essere influenzati da bias di autoselezione, dove le persone più interessate al vegetarianismo sono più propense a rispondere.

Un altro metodo di raccolta dati è l’analisi delle vendite di prodotti alimentari vegetariani. Questo approccio può fornire informazioni utili sulle tendenze di consumo, ma non necessariamente riflette il numero di persone che si identificano come vegetariani. Ad esempio, molte persone non vegetariane acquistano prodotti vegetariani per motivi di salute o per variare la propria dieta.

Infine, le ricerche accademiche e gli studi di mercato possono offrire dati più dettagliati e specifici. Tuttavia, questi studi sono spesso limitati a determinate regioni o gruppi demografici e possono non essere rappresentativi della popolazione globale. La combinazione di diverse metodologie può quindi offrire un quadro più completo e accurato del numero di vegetariani nel mondo.

Distribuzione Geografica dei Vegetariani

La distribuzione geografica dei vegetariani varia notevolmente da una regione all’altra. L’India è il paese con il maggior numero di vegetariani, grazie a motivazioni religiose e culturali. Si stima che circa il 30-40% della popolazione indiana segua una dieta vegetariana. In contrasto, i paesi occidentali hanno percentuali molto più basse, anche se in crescita.

In Europa, il vegetarianismo è più diffuso in paesi come il Regno Unito, la Germania e la Svezia. In questi paesi, il numero di vegetariani è aumentato significativamente negli ultimi anni, grazie a una maggiore consapevolezza dei benefici per la salute e l’ambiente. Il 10% della popolazione britannica si identifica come vegetariana, una percentuale che è in costante aumento.

Secondo l’Euromonitor International Lifestyles Survey, in Europa coloro che seguono una dieta vegana rappresentano il 3,4% della popolazione. Un altro 11,1% si definisce invece “flexitarian”, ossia segue un regime alimentare flessibile, che dà priorità ad alimenti a prevalenza vegetale, senza tuttavia eliminare completamente il consumo di carne, limitandosi a consumarla non più di una o due volte a settimana. C’è anche un 23% di europei che non ha intrapreso un regime alimentare particolare, anche se ha confermato di aver ridotto il consumo di carne negli ultimi tempi.

Negli Stati Uniti, il vegetarianismo è meno comune ma in crescita. Secondo un sondaggio del Pew Research Center, circa il 5% degli americani si identifica come vegetariano. Tuttavia, la percentuale è più alta tra i giovani e le persone con un’istruzione superiore, indicando una possibile crescita futura.

In America Latina, il vegetarianismo è meno diffuso, ma sta guadagnando terreno in paesi come il Brasile e l’Argentina. In Asia, oltre all’India, il vegetarianismo è comune in paesi come il Giappone e la Cina, dove le tradizioni buddiste e taoiste promuovono una dieta senza carne.

Statistiche Globali e Regionali

Le statistiche globali sul numero di vegetariani variano a seconda delle fonti e delle metodologie utilizzate. Tuttavia, si stima che circa il 10% della popolazione mondiale segua una dieta vegetariana. Questo rappresenta circa 780 milioni di persone su una popolazione globale di 7,8 miliardi.

In Europa, le stime variano, ma si ritiene che circa il 5-10% della popolazione sia vegetariana. In paesi come la Germania e il Regno Unito, questa percentuale è più alta, mentre in altri paesi dell’Europa orientale è più bassa. Negli Stati Uniti, come accennato, circa il 5% della popolazione si identifica come vegetariana.

In Asia, l’India ha la più alta percentuale di vegetariani, mentre in Cina e Giappone, la percentuale è più bassa ma in crescita. In America Latina, le stime variano, ma si ritiene che circa il 2-5% della popolazione segua una dieta vegetariana.

Le statistiche regionali possono variare notevolmente anche all’interno dei singoli paesi. Ad esempio, negli Stati Uniti, le aree urbane tendono ad avere una percentuale più alta di vegetariani rispetto alle aree rurali. Le differenze demografiche, come l’età, il sesso e il livello di istruzione, possono influenzare significativamente queste statistiche.

In Italia

Il Rapporto Italia 2024 di Eurispes, pubblicato a maggio, evidenzia come il 7,2% della popolazione si identifichi come vegetariano, mentre il 2,3% come vegano (complessivamente il 9,5%, a fronte del 6,6% dell’anno precedente). Il 5% dichiara di essere stato vegetariano in passato.

Oltre a fattori etici e culturali, il tipo di alimentazione scelto dagli italiani dipende anche da questioni anagrafiche. Tendenzialmente, il vegetarianismo e il veganismo sono diffusi soprattutto tra i più giovani. L’8,3% degli italiani nella fascia d’età tra i 18 e i 24 anni segue una dieta vegetariana, valore più alto di quello medio (del 4,2%). Per l’alimentazione vegana, invece, la generazione di riferimento è principalmente quella dei cosiddetti Millennial. In Italia si dichiara vegano il 3% di chi ha tra i 25 e i 34 anni. Salendo con l’età i vegetariani e i vegani diventano sempre più rari. Inoltre, tra coloro che hanno dai 35 ai 64 anni, è più alta la percentuale di quelli che hanno sperimentato la dieta vegetariana, per poi rinunciare (il 7,4%).

Rispetto al genere, sono le donne a seguire di più la dieta vegetariana rispetto agli uomini con un 5,9% di donne contro un 2,6% di uomini, mentre non c’è differenza di genere tra chi sceglie una dieta vegana (2,4% sia per uomini che donne). Dichiarano di non essere vegetariani e di non esserlo mai stati l’83,6% delle donne e l’89,2% degli uomini. Tra le fila di coloro che prima erano vegetariani e adesso non lo sono più sono più numerose le donne (8,1%) rispetto agli uomini (5,8%).

È soprattutto nel Nord-Ovest la presenza maggiore di vegetariani (4,8%) e vegani (3,3%) ‒ in totale, 8,1% ‒ e nelle Isole quella più bassa (rispettivamente il 2,7% e l’1,3%). Dopo il Nord-Est, le aree dove vi è una maggiore presenza di vegetariani/vegani sono: per i vegetariani, il Sud (5,2%), il Nord-Est (4,6%) e il Centro (2,9%); per i vegani, il Centro (2,7%), il Sud (2,1%) e il Nord-Est (1,6%).

Se si considera come variabile discriminante il titolo di studio, emerge che ad un più alto titolo di studio corrisponde una maggiore propensione a scegliere un tipo di alimentazione vegetariana, con una piccola deviazione: si passa infatti dal 6,2% di chi possiede almeno la laurea, al 4,1% di chi è diplomato, al 2,8% di chi possiede la licenza media e si risale al 3,3% di chi non ha nessun titolo di studio o ha solo la licenza elementare.

Andamento diverso per i vegani, dove la percentuale di coloro che hanno almeno la laurea e la percentuale di coloro che invece non hanno alcun titolo di studio o solo la licenza elementare si equivalgono (per entrambe il 3,3%), seguiti da chi ha la licenza media (2,3%) e infine da chi ha conseguito il diploma (2%). Tra chi ha la licenza media si trova la percentuale più alta di coloro che non hanno mai seguito la dieta vegetariana (89,3%), seguiti da coloro che non hanno alcun titolo o la licenza elementare (88,5%), da coloro che hanno il diploma (86,6%) e infine da coloro che hanno titoli di studio più elevati (82,8%). Trend inverso mostra invece la percentuale di coloro che hanno optato in passato per la dieta vegetariana e ora non più.

I vegani erano lo 0,6% nel 2014, anno della prima rilevazione, arrivando a toccare un picco del 3% nel 2017, fino a scendere all'1,3% lo scorso anno e a risalire di nuovo nell'ultimo tracciato di Eurispes. Un dato significativo è l’aumento del numero di vegetariani rispetto all’anno precedente, con un incremento del 3%. Questo dato interrompe il trend negativo iniziato nel 2021, raggiungendo il valore più alto degli ultimi dieci anni.

Per quanto riguarda i vegani, la percentuale rimane stabile rispetto al 2023. La quota di poco inferiore al 2,5% sembra ormai consolidata nella popolazione, ad eccezione del calo registrato nel 2022. È interessante notare che, tra il 2014 e il 2024, la percentuale di vegani è quadruplicata.

Trend in Italia

Cosa significa che la Dieta vegetale ben pianificata/bilanciata è Healthy, ovvero salutare?

Nel Journal American College of Cardiology (Wiliiams et al. 2017) viene affermato che le Diete a Base Vegetale comprendendo cereali integrali, grassi insaturi, frutta in abbondanza e le verdure e una quantità adeguata di acidi grassi omega-3 possono svolgere un ruolo importante nella prevenzione delle CVD.

Bisogna comunque porre attenzione sempre alla qualità dei cibi. Anche nelle Diete Plant Based occorre minimizzare o escludere:

  • tutti i cibi lavorati
  • cereali raffinati
  • zuccheri aggiunti
  • grassi e oli raffinati
  • sale

Vegetale equivale a salutare sempre nell’ottica di scelte consapevoli, orientandosi in un mercato in espansione nel quale alimenti pronti vegetali richiamano l’attenzione non soltanto di coloro che adottano l’alimentazione Plant-based come stile di vita, ma anche nei consumatori occasionali o guidati dalla moda del momento.

Nelle figure seguenti vengono riportate: la Piramide di una Dieta Plant Based e la Piramide della Dieta Mediterranea per un confronto. Anche la Dieta Mediterranea è una dieta a prevalenza vegetale. Difatti è caratterizzata da un modello nutrizionale che è rimasto costante nel tempo e nello spazio, che consiste principalmente di olio d’oliva, cereali, frutta e verdura fresca o secca, una quantità moderata di pesce, latticini e carne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, nel rispetto delle credenze di ogni comunità. Tuttavia, la Dieta Mediterranea (dal greco diaita, o stile di vita) riguarda più che i semplici alimenti. Essa promuove l’interazione sociale, dal momento che i pasti comuni rappresentano la pietra angolare delle usanze sociali e degli eventi festivi. Essa ha dato origine a un considerevole corpo di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. Si tratta di un sistema radicato nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e artigianali legate alla pesca e all’agricoltura nelle comunità mediterranee, di cui Soria in Spagna, Koroni in Grecia, il Cilento in Italia e Chefchaouen in Marocco sono esempi. Le donne rivestono un ruolo particolarmente vitale nella trasmissione delle competenze, nonché della conoscenza di rituali, gesti e celebrazioni tradizionali, e nella salvaguardia delle tecniche. (Unesco 2010).

Anche la Dieta Mediterranea è un modello sostenibile. Nell’ottica del concetto di “dieta sostenibile” che prevede uno stile alimentare che contribuisca alla riduzione dell’emissione di gas ad effetto serra, della riduzione del consumo di acqua, ma anche il recupero delle tradizioni, della propria cultura agricola e alimentare, i consumatori sono continuamente esortati ad aumentare il consumo di alimenti di stagione e di alimenti locali.

Diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono accettabili culturalmente, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane ( FAO 2010). Un tassello importante della Piramide alimentare della Dieta Mediterranea è rappresentato dai cereali quale fonte di carboidrati complessi. Quali cereali? Quelli da prediligere, anche in funzione di un aumento della fertilità, sono cereali integrali ricchi in fibre, proprio per la loro capacità di diminuire il carico glicemico di un pasto e contrastare l’eccessiva produzione di insulina, e la riduzione dell’ipertirgliceridemia (Cristodoro et al., 2024).

I modelli di diete sostenibili sono tutte le Diete Plant-Based.

A tal proposito il Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione dell’AST di Ascoli Piceno ha aderito all’iniziativa Green Food Week che si è svolta in Italia dal 5 al 9 febbraio promossa dall’Associazione Foodinsider, attivando la promozione e il sostegno di suddetta iniziativa nell’ambito della Ristorazione Scolastica di due Comuni dell’AST di Ascoli Piceno, valutando e condividendo con i portatori d’interesse (Amministrazione Comunale, Azienda di Ristorazione Collettiva e Commissione Mensa) il menù “Amico del Pianeta”.

“Per ridurre le emissioni di gas serra, il consumo di acqua e di suolo, accogliamo le richieste della comunità scientifica internazionale, che raccomanda di rendere i legumi protagonisti del pasto. L’obiettivo dell’iniziativa è dimostrare che esistono secondi piatti deliziosi a base di ceci, fagioli o lenticchie, alimenti cardine della Dieta Mediterranea che dovrebbero comparire almeno quattro volte a settimana anche sulla tavola dei bambini, come raccomanda la Società Italiana di Pediatria”

 Il menù ideato per un Comune della nostra AST AP era stato intitolato “A tavola con Arlecchino e Colombina” perché inserito nella settimana di carnevale, proponendo i seguenti alimenti: un piatto unico di frutta mista a spicchi, panino con hamburger di ceci accompagnato da carote taglio Julienne e a seguire l’orzo al pomodoro.

Per conoscere la reazione dei piccoli consumatori della mensa scolastica rispetto alla soddisfazione del suddetto menù è stata effettuata una rilevazione il giorno della somministrazione, durante o dopo il consumo del pasto. La scheda utilizzata, predisposta dalla GFW, di facile compilazione propone domande facili e dirette con quattro emoticon di colori diversi per esprimere il livello di gradimento complessivo percepito. I dati raccolti sono stati elaborati per singolo plesso, per le diverse fasce di età/classe frequentate per ordine e grado di istruzione.

Inoltre sono state raccolte diverse fotografie della presentazione del menù e del consumo del pasto e alcune testimonianze in loco.

Gradimento complessivo Scuola dell’Infanzia

Gradimento complessivo Scuola Primaria
 

Al di là dei risultati numerici che confermano una buona percentuale che il menù è piaciuto molto sia nell’infanzia 47% che nella primaria 49%, si può dire a posteriori dell’evento che ci sia stato apprezzamento e coinvolgimento dei bambini che si sono dimostrati curiosi, attenti e disposti a provare il nuovo piatto GFW.

L’ effetto sorpresa del menù servito “al contrario” ha stimolato un approccio positivo anche da parte di alcuni bambini selettivi che coinvolti dall’entusiasmo dei compagni hanno assaggiato il menù del giorno.

Rispetto al consumo dei legumi, alimenti che non incontrano il gradimento soprattutto dall’utenza della primaria, i dati di Okkio alla Salute 2023 informano che: in una settimana, il 21,4% dei bambini non consuma mai legumi e il 27,9% meno di una volta a settimana. Eppure l’hamburger di ceci, proposto a febbraio 2024 ha riscosso ampio consenso.

Due fattori principali sembrano predisporre le proprietà benefiche degli alimenti di origine vegetale:

la presenza di componenti bioattivi quali Vitamine, Sali Minerali e componenti fitochimiche

Per queste sostanze che derivano da frutta, verdura e legumi non è possibile indicare livelli di assunzione per la popolazione e ci si “limita” a suggerire di variare la propria alimentazione. Forse occorrerebbe definire e approfondire le tipologie di verdura e frutta che possiedono un effetto benefico sulla salute, come ad esempio nel caso delle brassicacee. I Larn del 2014 già evidenziavano come queste sostanze definite bioattive, prive di un ruolo metabolico fisiologico, potrebbero avere un ruolo nutrigenomico, agendo sull’espressione genica. Si possono quindi aggiungere tra questi nutrienti quelle sostanze che aiutano a riparare i danni del DNA o che, chelando i metalli pesanti, possono proteggerci da sostanze tossiche presenti nell’ambiente. Molte di queste sostanze sono definite sostanze bioattive. Tra di esse, in particolare, spiccano i fitochimici che sono di esclusiva provenienza vegetale, prodotti dalle piante per loro stessa difesa. I fitochimici svolgono diverse attività protettive nel nostro corpo.

I composti bioattivi e altri nutrienti aiutano a prevenire e ridurre l’incidenza di malattie croniche, conducendo ad un risparmio in spese sanitarie.

Le possibili reali carenze che riguardano un’alimentazione completamente a base vegetale sono: vitamina B12, vitamina D e OMEGA 3 mentre il resto dei nutrienti e delle sostanze protettive (fitochimici) sarà assunto inevitabilmente dai cibi, fonte dei suddetti nutrienti. Nel mondo vegetale, infatti, ogni alimento/pianta contiene tutti i macro e micronutrienti, fitochimici, fibre ed acqua (quest’ultima non presente in frutta a guscio e semi oleaginosi) in proporzioni diverse a seconda della pianta.

Quindi combinare alimenti provenienti da categorie diverse consente apporti nutrizionali completi, ad eccezione della vit. B12 e D che devono essere attenzionate.

Nella tabella sottostante (Plant based diets: a Physician’s guide Pern 2016 Summer) sono riportate le porzioni raccomandate per singolo gruppo alimentare.