Attualmente risulta difficile stimare con precisione la consistenza globale della specie sul territorio nazionale e regionale, in relazione alla intrinseca difficoltà di censimento della specie, alla difformità delle tecniche di conteggio utilizzate e alla disomogeneità nella copertura territoriale.
Essa dovrebbe comunque aggirarsi intorno ai 450000 capi in Italia e oltre 20000 capi nelle Marche, con rilevamento della popolazione più consistente nella provincia di Pesaro-Urbino, ove già nel 2002 aveva superato i 10000 capi con trend di ulteriore incremento. La sua presenza comincia ad essere diffusa anche nelle province di Ancona, Macerata, Ascoli Piceno.
Negli ultimi decenni, due sono stati i fattori principali che hanno contribuito al graduale recupero numerico e distributivo del capriolo.
Le aree montane sono state progressivamente abbandonate (o comunque meno intensamente sfruttate da un punto di vista agricolo e zootecnico con un nuovo incremento delle superfici boscate e degli "ecotoni" che hanno sensibilmente migliorato le condizioni ambientali per la specie.
Si è cosi assistito ad un fenomeno di "immigrazione" in nuovi territori da parte di soggetti provenienti da nuclei residui contestualmente ad operazioni di reintroduzione operate in più settori geografici da parte di numerosi enti gestori della fauna selvatica.
Nonostante ciò, nell’Italia meridionale il capriolo versa in uno stato di conservazione precario e risulta prioritaria la messa in atto di azioni tese da una parte a salvaguardare i nuclei autoctoni residui e dall’altra lo sviluppo di programmi di reintroduzione.
In tali aree il bracconaggio ed il randagismo canino rappresentano i principali fattori limitanti per il successo di tali programmi.