Con la definizione di tubercolosi negli ungulati selvatici, si intende l’infezione causata da Mycobacterium bovis, agente della tubercolosi bovina.
Tale batterio non è l’unico appartenente al genere Mycobacteriaceae che può colpire gli ungulati selvatici in quanto altre specie (M. microtis; M. avium; M. avium subs.paratuberculosis ed altre ancora) possono infettare con minor frequenza e con minor rilievo per la Sanità Pubblica Veterinaria.
Per ungulati selvatici si intendono i Suidi con il cinghiale (Sus scrofa); e Cervidi con il Capriolo (Capreolus capreolus), il Daino (Dama dama) e il Cervo (Cervus elaphus).
Situazione in Italia: In Italia, è nota da tempo la rilevanza del cinghiale come specie indicatore della presenza di Tubercolosi in bovini al pascolo (Marche, Liguria, Piemonte). Il bovino rappresenta infatti il serbatoio esclusivo dell’infezione, tuttavia il cinghiale può esercitare una funzione di mantenimento locale attraverso la diffusione a co-specifici con modalità di trasmissione orizzontale e alla progenie prima dello svezzamento.
La trasmissione dal bovino al cinghiale avviene per via alimentare a seguito di necrofagia, la trasmissione in senso inverso non è documentata. La trasmissione con modalità diverse e ad altre specie non sono da escludere a priori.
Nei Cervidi (non allevati) la tubercolosi è stata osservata sporadicamente, contratta con modalità analoghe ai bovini, quindi soprattutto per via aerogena a seguito di stretto contatto con animali infetti. La presenza dell’infezione in queste specie è indice di grave diffusione della malattia in un ambiente di pascolo densamente frequentato e condiviso da ruminanti selvatici e domestici.
Le lesioni tubercolari da M.bovis contratte dagli ungulati selvatici sono sovrapponibili a quelle documentate nelle specie domestiche (bovino e suino).
Nei carnivori selvatici (canidi e mustelidi), ai quali il micobatterio è trasmesso attraverso la predazione per via alimentare, l’infezione è generalmente difficile da rilevare per l’assenza di manifestazioni cliniche e di lesioni anatomo-patologiche che indirizzino l’accertamento diagnostico. In Italia come in Europa continentale non sono noti i fenomeni di co-infezione attribuiti al Tasso (Meles meles) in Gran Bretagna, situazione che appare quindi estremamente specifica.
Per quanto riguarda le micobatteriosi definite minori, queste sono causate da diverse specie che infettano gli animali selvatici e in particolare il cinghiale. In questa specie il rinvenimento di M.microti è frequente (nonostante la difficoltà di coltivazione in laboratorio) a causa del comportamento alimentare di grufolatore che lo predispone all’infezione. Le lesioni caseo-calcifiche prodotte nei linfonodi della regione della gola (L. retrofaringei e L. sottomandibolari) sono precocemente circoscritte e sterilizzate a testimonianza di una scarsa patogenicità a confronto di M.bovis e o M.tuberculosis.
Le lesioni prodotte da M.microti nell’apparato linfatico della regione della testa non sono distinguibili da quelle prodotte da M.bovis, tuttavia in quest’ultimo c’è tendenza alla evoluzione e generalizzazione delle lesioni non riscontrabile nell’infezione da M.microti. L’importanza di tali lesioni è ascrivibile soprattutto all’interferenza alle prove atte rivolte ad accertare l’infezione da M.bovis, già a partire dall’esame anatomo-patologico, quindi gli esami colturali e bio-molecolari. La frequenza del riscontro di tali lesioni in gran parte della popolazione di cinghiale non deve allarmare e confondere sulla reale epidemiologia della tubercolosi intesa come infezione da M.bovis.
A tal proposito è necessario ribadire che l’approccio diagnostico a tale patologia deve essere di tipo ispettivo così come praticato nei mattatoi. L’approfondimento con la diagnosi di laboratorio deve essere riservata ai quadri anatomopatologici di complesso primario o più gravi, escludendo dal consumo le forme granulomatose localizzate ai linfonodi della testa.
Situazione nelle Marche: Nelle Marche l’infezione tubercolare nel cinghiale è stata rilevata dal 2002 nella Provincia di Macerata e ricondotta a due genotipi. Un primo genotipo è stato isolato occasionalmente in due capi e in assenza di lesioni evidenti. L’altro genotipo (SB 0120; VNTR 33533) è isolato con continuità nell’intero periodo (2002-2015) dimostrando una persistenza nell’area e momenti di apparente recrudescenza.
Autore: Dott. Stefano Gavaudan