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Peste Suina Africana e Biosicurezza: un binomio inscindibile!

  • 16 febbraio 2022
  • Autore: Redazione VeSA
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MA COS’E’ LA PESTE SUINA AFRICANA?

La Peste Suina Africana, altrimenti denominata semplicemente con l’acronimo PSA, è una malattia infettiva, contagiosa, ad eziologia virale. Il virus, appartenente alla famiglia Asfarviridae di cui il genere Asfivirus è l’unico membro, viene considerato un arbovirus (con genoma a DNA), cioè un virus trasmesso da vettori biologici nella fattispecie da zecche molli del genere Ornithodorus. Da un punto di vista clinico la PSA si presenta come una sindrome emorragica, grave, generalmente ad esito infausto, per la presenza di emorragie che si manifestano a livello cutaneo soprattutto ai fianchi ed orecchie e a livello di organi e tessuti interni sotto forma di versamenti e di petecchie emorragiche.

CHI SI AMMALA DI PSA?

La PSA è una malattia che colpisce peculiarmente gli animali appartenenti alla famiglia dei suidi sia domestici (maiale domestico) sia selvatici (cinghiale). In questi animali il quadro clinico si presenta particolarmente grave e ad esito infausto soprattutto quando l’infezione si manifesta per la prima volta in zone indenni mentre in territori dove la malattia è presente da diverso tempo può assumere un andamento con manifestazioni cliniche di tipo sub-acuto e/o cronico. Nelle zone tropicali il virus della PSA è stato isolato da diverse specie di suidi selvatici quali il Phacochoerus, Potamochoerus e Hylochoerus, che di norma subiscono una infezione subclinica e che pertanto possono essere considerati come ospiti di riserva o portatori asintomatici della malattia. Ad oggi le conoscenze scientifiche sulla biologia del virus fanno ritenere che l’infezione non sia trasmissibile all’uomo quindi la malattia non viene considerata una zoonosi e l’uomo non si ammala di PSA.

Nei suidi le manifestazioni cliniche sono correlate alla situazione epidemiologica dell’infezione in un dato territorio, per cui in zone indenni si evidenziano sindromi cliniche di tipo iperacuto con morte improvvisa e di tipo acuto caratterizzate da febbre elevata, con aree emorragiche cutanee (arrossamenti) a livello delle orecchie, addome, torace, estremità distali e coda. L’animale presenta abbattimento, anoressia e incoordinazione motoria con vomito, diarrea emorragica e scolo oculare. Le scrofe gravide possono andare incontro ad aborto. La mortalità, che si avvicina a livelli pari quasi al 100%, sopraggiunge dopo una-due settimane dall’inizio dalla sintomatologia. Nelle zone endemiche e in quelle dove l’infezione è presente da molto tempo si possono osservare condizioni cliniche di tipo sub-acuto e/o croniche caratterizzate da febbre non elevata, ottundimento del sensorio, una diminuzione dell’incremento ponderale per ridotto appetito. Inoltre si possono osservare fenomeni ulcerativi di tipo cronico a livello cutaneo con necrosi e gonfiore alle articolazioni per manifestazioni artritiche. L’aborto può essere presente. L’andamento della malattia in questo caso si protrae per settimane e/o mesi e la mortalità oscilla tra il 30 e il 70%.

MA SE NON E’ PERICOLOSA PER L’UOMO PERCHE’ E’ COSI’ IMPORTANTE?

La PSA è un’infezione che si sta diffondendo in tutto il continente europeo e che all’inizio di quest’anno si è presentata per la prima volta nella nostra penisola (escludendo la Sardegna). Nel corso del 2020 ha colpito 7 milioni di suini nel mondo con una distribuzione della malattia in più di 40 nazioni. Pur non essendo pericolosa per l’uomo, l’importanza della malattia (sottolineata anche dall’ EFSA, l’ Autorità europea per la sicurezza alimentare, in uno dei suoi ultimi rapporti) è responsabile di danni economici notevoli nel comparto delle produzioni suinicole per l’alta mortalità dei suini domestici e per il blocco delle esportazioni (in conseguenza dei focolai epidemici) di alimenti derivati dal suino, come i prodotti tipici di eccellenza della nostra produzione nazionale di cui il Prosciutto di Carpegna D.O.P. ne è un tipico esempio. I danni agli animali si accompagnano quindi a gravi conseguenze economiche e sanitarie, con ingenti costi socio- economici nonché sanitari legati alle misure di sorveglianza e di eradicazione della malattia.

 

MA COME SI TRASMETTE?

La PSA si trasmette per contatto diretto da un animale malato ad un animale sano, compreso il contatto tra suini che pascolano all’aperto e cinghiali selvatici tramite secrezioni e fluidi biologici degli animali infetti. La trasmissione della malattia può avvenire anche per contatto indiretto tramite ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali infetti: scarti di cucina, broda a base di rifiuti alimentari e carne di cinghiale selvatico infetta (comprese le frattaglie); con il contatto con qualsiasi oggetto/fomite contaminato dal virus: stivali, scarpe o vestiti sporchi, attrezzi zootecnici, abbigliamento, veicoli e altre attrezzature etc. ed infine con punture di zecche infette del genere Ornithodorus che nel nostro territorio nazionale, sardegna compresa, riveste una scarsa o nulla importanza epidemiologica.

L'elevata contagiosità della malattia è legata all'alta resistenza del virus nell'ambiente.L'agente virale, infatti, non viene inattivato dalla putrefazione nè dalla refrigerazione o congelamento delle carni. Queste caratteristiche lo rendono capace di sopravvivere per lunghi periodi nelle secrezioni degli animali, nelle carcasse, nelle carni fresche e congelate e in alcuni prodotti derivati. Nei prodotti a lunga staginatura, come il prosciutto crudo staginato, dopo 300 giorni non è stata domostrata la presenza del virus infettante mentre la semplice maturazione delle carni o una stagionatura più breve, come quella delle salsicce e dei salami non inattivano il virus che resta infettante. Solo i raggi ultravioletti (luce solare) e le temperature di cottura superiore a 70°C sono in grado di inattivare il virus.

 

MA E’ PRESENTE IN ITALIA?

La PSA è stata descritta per la prima volta nel 1921, in Kenya; nel 1957 è stata segnalata in Portogallo, proveniente dall'Africa mediante rifiuti alimentari trasportati per via aerea. Negli anni successivi la malattia si è diffusa nell'intera penisola Iberica e nel 1978 ha fatto la sua comparsa in Sardegna. Da quell’anno in poi l’infezione si è diffusa su tutto il territorio regionale con un andamento epidemiologico di tipo endemico mentre, fino ad un mese fa circa, la restante parte del territorio italiano restava ancora indenne.

Nel 2007 ha fatto la sua prima comparsa nelle regioni caucasiche della Georgia, Armenia, Azerbaigian con altri focolai infettivi che si sono succeduti nel territorio delle regioni sovietiche da dove, nel 2014, ha interessato anche i territori dei paesi baltici. Tra il 2016 e il 2018 la PSA si è diffusa nelle regioni delle nazioni dell’est europeo (Moldavia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria e Bulgaria). Nell’agosto 2018 la malattia è stata notificata anche in Cina. Tra il 2018 e il 2020 la malattia ha avuto un fronte di avanzamento sia verso ovest interessando il Belgio (cinghiali), laGermania 8cinghiali e suini domestici), la Serbia e la Grecia (suini domestici) sia verso est coinvolgendo diversi paesi del Sud-Est asiatico (mongolia, Filippine, Corea del Nord e del Sud, Vietnam, Cambogia, Lao, Myanmar, Timor Leste, Indonesia). Nel mese di agosto 2021, la Repubblica Domenicana ha notiificato anche ad Haiti. Ad oggi, tutti i contimenti sono coinvolti nella lotta alla Peste suina Africana.

In Italia, nella regione Sardegna una ferma e costante applicazione del Piano di Sorveglianza per la PSA ha probabilmente consentito la scomparsa del virus sul territorio regionale così da poter dichiarare, nel prossimo futuro, la Sardegna indenne da PSA (se l’andamento epidemiologico e le attività di controllo continuano ad essere favorevoli). Nel resto del territorio peninsulare, il 7 gennaio 2022, il Centro Nazionale di Referenza per le Pesti Suine presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, ha confermato la presenza del virus in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel comune di Ovada in Provincia di Alessandria con lo stesso genotipo 2 attualmente circolante in Europa (mentre quello della Sardegna è il genotipo 1). Successivamente lo stesso Centro Nazionale di Referenza ha confermato altri due casi in due carcasse rinvenute rispettivamente, una sempre in provincia di Alessandria e l’altra in provincia di Genova. Ad oggi (03/02/2022) si confermano in totale 29 cinghiali positivi di cui 14 rinvenuti in regione Piemonte e 15 in regione Liguria. Allo stato attuale non risultano positività nella provincia di Pesaro-Urbino e nel restante territorio della regione Marche.

QUALI SONO I COMPORTAMENTI A RISCHIO?

Il fattore umano rappresenta, senza ombra di dubbio, il principale attore nella diffusione dell’infezione. Viaggiatori (turisti, camionisti, cacciatori) che dalle zone infette dei paesi dell’Unione Europea e di paesi terzi portano con sé prodotti a base di carne suina o di cinghiale (quali ad esempio, carne fresca, salsicce, prosciutti, lardo o semplici panini imbottiti) rappresentano un rischio elevato di diffusione del virus nei territori indenni. Lo smaltimento di rifiuti alimentari, di qualunque tipologia, dispersi nell’ambiente invece che in contenitori idonei allo smaltimento, rappresenta un’altra importante fonte di contagio sia per i suini domestici ma soprattutto per i cinghiali che hanno facile accesso ai rifiuti dispersi nell’ambiente e nelle zone limitrofe a discariche abusive e/o autorizzate. Ai cacciatori che si recano in aree infette si raccomanda un’estrema pulizia e disinfezione di attrezzature, vestiario e dei trofei; inoltre sarebbe opportuno eviscerare i cinghiali abbattuti solo nelle strutture designate, evitando ogni possibile contatto con i maiali domestici dopo ogni battuta di caccia. Gli allevatori di suini devono rispettare ogni norma di biosicurezza in allevamento ed in particolare la pulizia e disinfezione di ogni attrezzattura, vestiario e della propria persona ed evitare ogni possibile contatto con cinghiali e/o suini domestici di altri allevamenti. I casi di mortalità in allevamento deve essere tempestivamente comunicati come anche gli avvistamenti e/o i ritrovamenti di carcasse di cinghiali morti, da parte di qualunque cittadino, devono essere tempestivamente comunicati al servizio veterinario competente per territorio.

MA LA PESTE SUINA AFRICANA SI PUO’ CURARE?

Allo stato attuale non sono disponibili farmaci che possano curare la PSA, quindi l’unico strumento di controllo è la prevenzione che comprende tutte le misure di biosicurezza che rappresentano le armi principali per assicurare un territorio libero dal virus.

Una caratteristica peculiare del virus è rappresentata dall'incapacità a stimolare la formazione di anticorpi neutralizzanti, il che costituisce un importante ostacolo tecnico alla preparazione di vaccini efficaci contro la malattia. Ad oggi, infatti, non è disponibile nessun presidio vaccinale efficace.

MA COME SI PUO’ CONTROLLARE?

La risposta può sembrare banale ma la realtà è che una volta che l’infezione si radicalizza in un territorio tutte le attività e le misure sanitarie successivamente applicate, saranno del tutto insufficienti ad eradicare, in breve tempo, l’infezione. Un esempio emblematico è la Sardegna dove solo dopo un programma di sorveglianza sinergico ed efficiente si è giunti alla possibile eradicazione dell’infezione dall’isola, dove era presente dal 1978! E’ conseguente, quindi, che l’unica strategia di controllo rimane la prevenzione cioè tutte quelle misure, attività e procedure che sono volte ad impedire al virus di entrare e quindi diffondersi in un territorio indenne e che vanno sotto l’appellativo di “biosicurezza”. Per definizione la biosicurezza comprende quell’insieme di processi e attività che hanno lo scopo di mantenere e/o migliorare lo stato igienico-sanitario di un allevamento, attraverso il controllo sia dell’ingresso di nuove malattie e sia di quelle eventualmente già presenti in allevamento migliorando la sicurezza alimentare e il benessere degli animali da reddito. La biosicurezza si ottiene intervenendo nei cosiddetti fattori di rischio che sono individuabili a livello delle strutture dell’allevamento e del sistema di gestione dello stesso. Il controllo degli accessi cioè la movimentazione degli animali, del personale, degli automezzi, alimenti e altro deve essere rigorosamente sottoposto a procedure di pulizia e disinfezione e tutto l’allevamento deve essere delimitato da recinzioni perimetrali atte ad impedire l’ingresso e/o il contatto con animali selvatici, veicoli e/o di persone non autorizzate. L’allevamento deve comprendere una separazione netta tra zona “sporca” e zona “pulita” cioè l’individuazione di tutte quelle aree che arrestano l’ingresso e/o l’uscita di agenti patogeni da e verso l’allevamento e che rappresenta una importante pratica di sicurezza igienico-sanitaria del personale e dei mezzi di trasporto. Lo stesso personale che lavora all’interno dell’allevamento deve essere coinvolto attivamente nelle procedure di biosicurezza assicurando una idonea formazione e un’ attenzione ai protocolli di pulizia e disinfezione.

In questa importante attività di prevenzione dei confronti della PSA non è coinvolto solo l'allevatore di suini. Anche il semplice cittadino, cacciatore, turista e/o escursionista può contibuire segnalando ogni episodio di mortalità di cinghiali morti e/o incidentati o soggetti che presentano sintomi clinici (es. paresi, tremori, evidente malessere generale; diarrea sanguinolenta) alle autorità competenti per territorio e in particolare ai Servizi Veterinari delle AASSLL, agli operatori del CRAS, e alle forze dell'ordine 8CC Forestale, Polizia di stato).

 

 

 

 

 

Autore:  Langella dr Vincenzo
Dirigente Veterinario ASUR Marche
Area Vasta di Pesaro-Urbino

 

Per ulteriori approfondimenti:

www.veterinariaalimenti.sanita.marche.it

www.izsum.it

www.izs.it www.izsplv.it

www.salute.gov.it

www.biosicurezzaweb.net

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