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Le TSE negli ungulati selvatici

  • 22 ottobre 2024
  • Autore: Redazione VeSA
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Le TSE (Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili) dei ruminanti selvatici rappresentano un insieme di malattie neurodegenerative croniche e fatali, che interessano il sistema nervoso centrale di diverse specie animali. Queste patologie, tra cui spicca la malattia del deperimento cronico (Chronic Wasting Disease - CWD), sono causate da prioni, proteine anomale che inducono il ripiegamento errato di altre proteine cerebrali, portando alla formazione di vacuolizzazioni che distruggono i tessuti nervosi.

Tra i principali segni clinici osservabili ricordiamo:

  • Cambiamenti comportamentali;
  • Emaciazione;
  • Eccessive salivazione e urinazione;
  • Tuttavia per la maggior parte della durata dell’infezione, non si hanno segni o al più si possono riscontrare segni aspecifici;

I rincipali rischi legati alle TSE nei ruminanti selvatici sono ecologici e di tutela della fauna selvatica, zoonotici e di contaminazione ambientale.

 La diffusione delle TSE tra le popolazioni di ruminanti selvatici può alterare l'equilibrio degli ecosistemi. Poiché queste malattie sono altamente trasmissibili attraverso fluidi corporei, feci, urine, e tessuti infetti, intere popolazioni di cervi o alci possono essere decimate, con impatti sulla catena alimentare. Inoltre, la riduzione del numero di ruminanti potrebbe alterare il comportamento di predatori e competitori, con conseguenze ecologiche a lungo termine.

Le TSE si diffondono soprattutto attraverso il contatto diretto tra animali o con materiali contaminati (carcasse, terreni, vegetazione), rendendo la gestione delle popolazioni selvatiche una sfida. La CWD, che colpisce in particolare cervidi come cervi e alci, ha il potenziale di diffondersi rapidamente in regioni in cui la fauna è densa, e non esistono ancora cure o vaccini efficaci.

 Anche se, a differenza di altre TSE (come la variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob causata dall’encefalopatia spongiforme bovina o "mucca pazza"), non esistono prove definitive di trasmissione del CWD agli esseri umani, le preoccupazioni persistono. Studi sperimentali hanno dimostrato che i prioni della CWD possono infettare alcune specie di primati. Questo solleva preoccupazioni riguardo al consumo di carne di animali selvatici infetti, poiché i prioni possono persistere nell'ambiente per anni, resistendo alla degradazione naturale.

Questo rende difficile l'eliminazione del rischio una volta che una popolazione è infetta. I terreni contaminati da carcasse infette o da fluidi corporei possono diventare una fonte continua di infezione per gli animali selvatici. Anche se i prioni non si decompongono facilmente, è stato dimostrato che possono legarsi al suolo e alla vegetazione, prolungando ulteriormente la loro presenza.

Una delle principali misure per mitigare i rischi delle TSE è il monitoraggio attento delle popolazioni di ruminanti selvatici. Questo include il test su campioni di animali cacciati o trovati morti, l’identificazione di focolai di infezione e l'isolamento delle zone colpite.

Durante il corso BTSF tenutosi a Porto in Portogallo dal 28 novembre al 1 dicembre 2023 dal titolo “Transmissible Spongiform Encephalopathies & Animal by by-Products“, la Dr.ssa Sylvie Benestad del Norwegian Veterinary Institute, ha trasmesso la propria esperienza, relativa alla gestione di un focolaio di CWD nelle renne norvegesi, confrontandola con la realtà del Nord America.

Il primo caso di CWD in Europa è stato riscontrato proprio in Norvegia nel Marzo del 2016 nell’area della Nordfjiella, su un una renna allevata con pascolo libero.

In America è stata invece riscontrata in Colorado nel 1967, in Canada nel 1996 e nel 2000 nella Corea del sud.

 

Le specie interessate dalla malattia nei focolai nord-americani e nord-europei sono:

  • Cervo mulo (Odocoileus hemionius);
  • Cervo dalla coda bianca (Odocoileus virginianus);
  • Wapiti (Cervus elaphus nelsoni/canadensis);
  • Alce (Alces alces);
  • Renna (Rangifer tarandus);

Il governo norvegese, per il tramite del Ministry of Agriculture and Food, il 1 luglio del 2016 ha adottato le seguenti misure per limitare la diffusione della malattia:

  • Divieto di esportazione di cervidi vivi dalla Norvegia;
  • Limitazione agli spostamenti di cervidi tra le contee;
  • Divieto di importazione dell’attrattivo all’urina da paesi in cui era presente la CWD;
  • Divieto di utilizzo di blocchi di sale e di alimentazione di cervidi selvatici;
  • Attuazione di un vasto programma di sorveglianza.

Il piano di sorveglianza ha previsto la raccolta di campioni che venivano analizzati lo stesso giorno del loro arrivo in laboratorio.

Sono stati inclusi nel piano:

  • tutti i cervidi rinvenuti morti su tutto il territorio nazionale;
  • tutti i cervidi cacciati all’interno e nelle aree limitrofe alla regione della Nordfjella;

Dal 2016 a fine 2023 sono stati analizzati tra i 10.000 e i 33.000 cervidi ogni anno, per un totale di più di 168.000 cervidi campionati alla fine del 2023.

Le renne semidomestiche norvegesi sono allevate senza recinti, libere per la gran parte della loro vita ed hanno poche interazioni con l’uomo, pertanto è stato attuato un piano di abbattimento della popolazione presente nella Nordfjella per provare a limitare la diffusione della malattia.

Il piano si è concluso con l’abbattimento di tutti i capi presenti nell’area. Sono state testate 2471 renne, analizzandone sia il cervello che il midollo allungato. I capi positivi sono risultati essere 19 pari allo 0,76% del totale.

Dopo l’abbattimento completo della popolazione inizialmente interessata dalla CWD, tra il settembre e l’ottobre del 2022 sono stati individuati 2 nuovi esemplari positivi, nella zona di Hardangervidda, attigua alla precedente area. In totale sono quindi risultate positive 21 renne e 12 alci. I ceppi isolati dalle 2 specie mostravano una diversa caratterizzazione in vitro in quanto avevano diversa morfologia, diversa reazione al trattamento con proteinasi K (sito di clivaggio) e diverse reazioni biochimiche.

Il fatto che negli alci la localizzazione sia cerebrale, ma non linfonodale, fa pensare che in questa specie vi sia una ridotta contagiosità.

Sono stati effettuati anche dei campionamenti nei cervi rossi che hanno permesso di rivelare 3 positività.

Dalle indagini molecolari è emerso che sia il prione degli alci che quello dei cervi rossi differiscono da quello delle renne, ed entrambi non sono rilevabili nel tessuto linfonodale.

Complessivamente i casi positivi in Nord Europa sono stati: 19 negli alci (12 in Norvegia, 4 in Svezia, 3 in Finlandia), 21 nelle renne e 3 nei cervi rossi.

Ad un primo confronto, prioni europei ed americani potrebbero sembrare simili, ma in realtà si tratta di ceppi differenti.

Alci e cervi rossi europei mostrano tratti atipici, mai idividuati in Nord America e i test in vivo confermano l’esistenza di nuovi ceppi rispetto a quelli già noti.

Sono stati identificati almeno 3 ceppi nelle alci, 1 nelle renne e 1 nel cervo rosso.

Sulla base dell’esperienza matura in Nord Europa, la Dr.ssa Sylvie Benestad suggerisce l’istituzione di una sorveglianza sulla popolazione di cervidi in ogni singolo paese, con un doppio obiettivo:

  • Individuare la problematica, qualora presente;
  • Stimare la prevalenza nelle zone con CWD già rilevata.

I capisaldi di tale sorveglianza sono l’individuazione della popolazione a rischio, rappresentata da tutti i cervidi, tranne il daino, e il sistematico prelievo di obex e linfonodi retrofaringei o tonsille.

Durante il corso è emersa anche la necessità di rivedere il parere congiunto EFSA/ECDC del 2011 relativo al possibile rischio legato alla presenza di CWD nei cervidi, alla luce delle nuove evidenze emerse dai focolai nord-europei.

Ad oggi, purtroppo, non esistono modelli sperimentali per determinare direttamente il potenziale zoonotico delle TSE, compresa la CWD.

Sperimentalmente CWD viene trasmessa alla scimmia scoiattolo, ma non ad altri modelli animali, inclusi macachi e topi umanizzati.

La PMCA e RT-QuIC, metodi di amplificazione ultrasensibili, non hanno permesso di individuare la presenza di barriere di specie assolute tra cervidi infetti e umani e ciò fa capire quanto sia rischiosa l’assenza di norme per la gestione del materiale specifico a rischio dei cervidi consumati in Nord America. Inoltre, i prioni della CWD sono presenti nei muscoli scheletrici e possono essere dunque ingeriti nelle aree endemiche a seguito del consumo di carni infette.

Tutti i dati attualmente disponibili, sul rischio di trasmissione all’uomo, provengono da casi di CWD di cervidi del Nord America, ma, come detto, gli isolati americani sono diversi da quelli europei, e dunque l’esperienza americana non può essere perfettamente adattata alla situazione nord-europea.

Altro punto fondamentale nella prevenzione e nella lotta alla CWD, al fine di evitarne la diffusione nel continente europeo, è la stesura di raccomandazioni per l’implementazione di misure di controllo basate sui rischi per la salute degli animali.

A tal proposito è importante ridurre la movimentazione dei cervidi, vietare l’utilizzo di attrattivo a base di urina naturale di cervidi e attuare campagne di sensibilizzazione nei confronti degli stakeholder.

Purtroppo, una volta che la problematica si è presentata in una popolazione, è difficile da eliminare, si possono tuttavia applicare delle misure di contenzione quali minimizzare il contatto animale-animale e ridurre la densità delle popolazioni animali presenti.

E’ utile inoltre:

  • vietare l'utilizzo di esche/attrattivi, la somministrazione di alimentazione supplementare e l’utilizzo di blocchi di sale come integrazione minerale;
  • effettuare un depopolamento parziale o totale dei cervidi nelle aree infette;
  • ridurre in generale le popolazioni selvatiche;

Sarebbe opportuno anche aggiornare l’elenco dei metodi diagnostici per CWD (ultimo parere EFSA del giugno 2004). Ad oggi infatti non esistono dati che confrontino direttamente le prestazioni dei test rapidi disponibili, applicati ai campioni provenienti dai cervidi. E’ importante testare sia il cervello che il tessuto linfonodale, in quanto questo aumenta la sensibilità della sorveglianza.

Inoltre sarà necessario aggiornare le conclusioni del parere EFSA 2010 con i risultati della sorveglianza sulla CWD in Nord Europa. Il parere del 2010, infatti, ha diversi limiti. Prima del 2016, in Europa, c’è stata una bassa attività di testing e non è dunque possibile concludere se CWD sia presente o meno in altri stati europei. In Norvegia è stata probabilmente introdotta più di 10 anni fa, mentre il programma europeo per la CWD della durata di 3 anni è iniziato soltanto il 1 gennaio del 2018 ed è terminato ufficialmente il 31 Dicembre 2020, dimostrando che la CWD è ancora presente in Finlandia e Svezia.

 

Quanto detto dimostra come sia doverosa una maggiore attenzione alla problematica, anche alla luce di un recente studio pubblicato nel giugno 2024, il quale ha dimostrato come l’inoculo intracerebrale di prioni isolati dalle renne, in pecore suscettibili, ha portato alla comparsa di vacuolizzazioni, soprattutto nella materia bianca, con moltiplicazione del prione a livello linfonodale in tutti i capi coinvolti nello studio.

Il tessuto prelevato dagli animali infettati sperimentalmente, risultava negativo al test rapido, ma positivo alla RT-QuIC e alla PMCA.

La forma di CWD che si è sviluppata, è risultata avere una distribuzione e un fenotipo insoliti per la malattia.

La ricerca continua sui prioni e sui meccanismi di trasmissione delle TSE, sarà fondamentale per sviluppare trattamenti e strategie di prevenzione. Gli studi attuali sono volti anche a comprendere meglio la resistenza dei prioni nell'ambiente e a sviluppare metodi per la decontaminazione di terreni e habitat colpiti.

Le TSE dei ruminanti selvatici rappresentano una minaccia crescente sia per la fauna selvatica che per gli ecosistemi, con potenziali ripercussioni economiche e sanitarie per l’uomo. La lotta contro queste malattie richiede un approccio multidisciplinare, che includa il monitoraggio attivo delle popolazioni, la sensibilizzazione del pubblico e il progresso scientifico. Sebbene i rischi zoonotici siano ancora oggetto di studio, è fondamentale adottare misure precauzionali per limitare l'espansione di queste malattie tra i ruminanti selvatici e prevenire possibili conseguenze per la salute umana.

 

Autori: Ylenia Abbate - Nicholas Aconiti Mandolini

 

 

 

 

 

 

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