La plastica è senza dubbio un materiale molto utile e importante che oggi troviamo dappertutto e utilizziamo costantemente e quotidianamente, semplifica la nostra vita e risulta più leggera e meno costosa di molti altri materiali.
Se la plastica non viene però correttamente smaltita o riciclata persiste molto a lungo nell’ambiente. Basti pensare che il tempo di degradazione di una bottiglia di plastica può variare fra i 100 e i 1000 anni.
Nel corso del tempo inoltre la plastica tende a rompersi e frammentarsi formando quindi le così dette MICROPLASTICHE: minuscoli pezzi di tale materiale, solitamente inferiori ai 5 millimetri, che si formano principalmente in seguito al disgregarsi e deteriorarsi di pezzi di plastica più grandi come sacchetti, bottiglie, reti da pesca, capi sintetici (in seguito a lavaggio), pneumatici (abrasione durante la guida).
Esistono però anche delle microplastiche fabbricate e aggiunte intenzionalmente in alcuni prodotti ad azione abrasiva (microparticelle in prodotti cosmetici ad azione esfoliante come scrub per il corpo e il viso e microparticelle per la sabbiatura abrasiva), per regolare la viscosità, l’aspetto e la stabilità di un prodotto.
Poiché, come già detto, la plastica è un materiale molto durevole, l’inquinamento da plastica e da microplastica è oggi ovunque: negli oceani, nei campi, nei prodotti alimentari e nell’acqua che beviamo.
In particolare da studi effettuati si stima che ogni anno tra 5 e 12 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica vengono gettati in mare e quindi che ne siano già stati accumulati oltre 150 milioni di tonnellate negli oceani di tutto il mondo. Il 2-5 % di tutta la plastica prodotta finisce quindi negli oceani, di cui una parte sotto forma di microplastica, anche quest’ultima purtroppo in costante aumento. In particolare nel 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51.000 miliardi di particelle di microplastica nei mari.
I rifiuti di plastica quindi inquinano sempre più gli oceani. Seguendo questo trend, se non verranno attuati cambiamenti significativi, entro il 2050 il peso delle plastiche presenti nei mari sarà addirittura superiore a quello dei pesci.
L’impatto della plastica sull’ecosistema è notevole e gli effetti negativi sugli organismi marini sono di frequente riscontro come imbrigliameti e ingurgitazione massiva con frequenti conseguenze letali.
Altro aspetto da considerare è quello legato alle microplastiche presenti in mare che possono essere ingerire dagli animali marini come pesci, molluschi e crostacei e quindi, attraverso la catena alimentare, la plastica e le sostanze chimiche tossiche da essa veicolate possono arrivare direttamente sulle nostre tavole.
Una ricerca scientifica condotta nel 2017 dall’Università Politecnica delle Marche, Greenpeace e Istituto di Scienze Marine del CNR di Genova conferma la presenza di particelle di microplastica in pesci e invertebrati.
In particolare dallo studio emerge che nelle acque marine superficiali italiane si riscontra un’enorme e diffusa presenza di microplastiche comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con i picchi più alti rilevati nelle acque di Portici (Napoli) ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti (Foggia).
Da sottolineare che lo studio considera solo le acque marine superficiali in quanto per effettuare i campionamenti sono state impiegate delle reti dette "manta" in grado di raccogliere micro e macro plastiche in superficie e quindi sono escluse quelle presenti nei fondali.
Inoltre dalle analisi effettuate negli organismi prelevati nei mari italiani emerge che tra il 25 e il 30 per cento dei pesci e invertebrati analizzati contiene micro particelle di plastica.
In particolare, nel corso della ricerca, sono stati analizzati più di 200 organismi marini tra pesci e invertebrati comunemente consumati e pescati in Italia, come acciughe, triglie, merluzzi, scorfani, gamberi e cozze. L’analisi ha permesso di identificare diversi tipi di polimeri: la maggior parte delle plastiche ritrovate è fatta di polietilene (PE), ovvero il polimero con cui viene prodotta la maggior parte del packaging e dei prodotti usa e getta.
“I risultati ottenuti confermano ancora una volta che l’ingestione di microplastiche da parte degli organismi marini è un fenomeno diffuso e sottolineano la rilevanza ambientale del problema dei rifiuti plastici in mare. È urgente quindi che la ricerca scientifica acquisisca nuove conoscenze e contribuisca a sensibilizzare la coscienza di tutti su questa tematica emergente” afferma Stefania Gorbi, docente di Biologia Applicata all’Università Politecnica delle Marche.
Nei pesci le microplastiche ingerite si fermano nell’apparato digerente che non viene normalmente consumato dall’uomo mentre diversa è la situazione nel caso di molluschi e crostacei.
Ulteriore evoluzione del problema è la graduale trasformazione/degradazione delle microplastiche in nanoplastiche, particelle di dimensioni ancora più piccole che, ingerite dai pesci, possono trasferirsi nei tessuti, con conseguenti rischi ancora non ben chiariti per la salute umana in seguito al consumo degli stessi.
Attraverso varie vie di contaminazione, le microplastiche possono arrivare sui nostri alimenti ed infatti sono state trovate anche nell’acqua potabile e in molti cibi e bevande analizzati. Non c’è quindi da stupirsi se di recente sono state rinvenute particelle di plastica anche nelle feci umane.
In particolare uno studio commissionato da WWF ha concluso che ingeriamo in media circa 2000 frammenti di microplastiche a settimana, pari a circa 21 grammi al mese e poco più di 250 grammi all’anno.
Da notare che, secondo lo studio, la maggior parte delle particelle di plastica viene ingerita con l’acqua potabile (del rubinetto e in bottiglia) ma anche con altri prodotti alimentari e tra questi, quelli contenenti il maggior quantitativo di plastica, sono molluschi, birra e sale.
Per quanto riguarda gli effetti delle microplastiche sulla salute dell’uomo non sono ancora stati valutati e accertati appieno. Secondo alcuni ricercatori la microplastica ingerita di per se non causa rischi concreti per la salute in quanto transiterebbe solo nel nostro intestino per essere quindi eliminata con le feci. Problematiche ed effetti nocivi, soprattutto a medio e lungo termine, si potrebbero però manifestare a causa degli additivi che la plastica può contenere come agenti stabilizzatori, ignifughi, coloranti, ecc. Le microplastiche presenti nel mare inoltre possono assorbire sostanze chimiche come metalli pesanti, pesticidi, erbicidi e residui di medicinali, presenti nell’acqua, che possono poi essere rilasciate nell’organismo.
Altro problema, ancora tutto da studiare e approfondire, è inoltre quello delle nanoplastiche e del loro possibile assorbimento a causa delle dimensioni molto ridotte.
PROVVEDIMENTI e SOLUZIONI
La plastica e le microplastiche rappresentano quindi una problematica purtroppo molto grave, diffusa e globale su cui è indispensabile intervenire subito.
Senza dubbio in Europa si stanno prendendo provvedimenti nella lotta all’inquinamento da plastica.
A Settembre 2018 gli eurodeputati hanno approvato una strategia sulla plastica che mira a modificare la progettazione, la realizzazione, l’uso e il riciclaggio dei prodotti plastici nell’UE.
Lo scopo di questa strategia non è quello di attuare una “guerra” alla plastica ma di favorire un'economia circolare della plastica in cui trattare questo materiale in maniera sostenibile e responsabile, in modo da poter fermare gli effetti dannosi e preservare il valore della catena di produzione.
Il duplice obiettivo quindi è quello di tutelare l’ambiente e, al tempo stesso, di porre le basi per una nuova economia delle materie plastiche, in cui la progettazione e la produzione rispettano pienamente le necessità del riutilizzo e del riciclaggio e in cui sono sviluppati materiali più sostenibili ed ecologici.
La strategia sulla plastica quindi mira innanzitutto ad aumentare i tassi di riciclaggio dei rifiuti di plastica nell’UE e a rendere tutti gli imballaggi di plastica riutilizzabili o riciclabili entro il 2030. È stato infatti stimato che, ad oggi, ogni anno gli europei generano circa 26 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica ma meno del 30% viene raccolto per essere riciclato. Una parte viene esportata per essere smaltita da paesi terzi mentre il resto va in discarica, viene incenerito oppure, nel peggiore dei casi, non viene raccolto e finisce per disperdersi nell'ambiente.
Inoltre, gli europarlamentari hanno richiesto alla Commissione di introdurre in tutta Europa il divieto di aggiungere intenzionalmente microplastiche nei cosmetici, prodotti per la cura personale, detergenti e prodotti per la pulizia entro il 2020 e di introdurre delle norme più severe per ridurre significativamente il rilascio involontario delle microplastiche dai tessuti sintetici, dagli pneumatici, dalle pitture e dai mozziconi di sigaretta.
La strategia adottata dall'UE comprende anche le plastiche monouso. A Dicembre 2018 i legislatori europei, hanno approvato il divieto totale, entro il 2021, dell’uso di oggetti di plastica monouso di cui esiste una versione alternativa già disponibile sul mercato: cotton fioc, posate, piatti, cannucce, bastoncini mescola bevande e bastoncini da palloncino, contenitori per alimenti e bicchieri in polistirolo espanso.
Basti pensare che le plastiche monouso costituiscono circa la metà dei rifiuti marini totali.
Gli eurodeputati hanno aggiunto anche le plastiche ossi-degradabili alla lista dei materiali da proibire. Si tratta di plastiche comuni alle quali vengono aggiunti, nel processo produttivo, additivi per accelerarne la frammentazione in frazioni minuscole per effetto della radiazione ultravioletta o del calore. La veloce frammentazione dovrebbe, infatti, accelerare anche la biodegradazione ma, secondo la Commissione Europea, non esiste alcuna prova definitiva che la plastica ossi-degradabile subisca, all’aria, in discarica o nell’ambiente marino, una biodegradazione completa in un arco di tempo ragionevole. Anzi tali plastiche contribuiscono all’inquinamento da microplastica dell’ambiente marino e non sono da escludere potenziali effetti tossici.
Sono state approvate anche altre importanti misure, come l'estensione della responsabilità per alcune aziende, in particolare per le multinazionali del tabacco, secondo il principio del "chi inquina, paga” e quindi contribuisce ai costi di raccolta dei rifiuti. Tale modello si applica anche ai produttori di attrezzatura da pesca, in questo modo si evita che siano i pescatori a dover affrontare i costi della raccolta delle reti da pesca perse in mare.
I pescatori comunque potrebbero svolgere un ruolo importante nella lotta contro la plastica nei mari raccogliendo i rifiuti durante le loro attività di pesca e riportandoli in porto; attività di recupero che dovrebbero essere adeguatamente incentivate e finanziate.
Fra le altre proposte approvate, l’obiettivo di raggiungere, entro il 2029, la raccolta del 90% delle bottiglie di plastica (per esempio attraverso il sistema dei vuoti a rendere e una maggiore sensibilizzazione dei cittadini). Inoltre è stato stabilito che una parte del materiale utilizzato per produrre le bottiglie di plastica debba provenire dalla plastica riciclata in percentuali pari al 25% entro il 2025 e al 30% entro il 2030.
Le nuove norme stabiliscono anche l’obbligo di etichettatura informativa sull'impatto ambientale per i prodotti di tabacco con filtri, gli assorbenti igienici e le salviettine umidificate in modo che gli utenti sappiano come smaltirli correttamente, il tutto corredato da un’attività di sensibilizzazione.
Infine le norme relative alla riduzione dei sacchetti di plastica più comuni e più inquinanti erano state approvate dal Parlamento già nel 2015.
In Italia, per rispondere alla problematica dell’inquinamento da plastica, alcuni comuni si stanno già organizzando per diventare “plastic free”. Ad esempio ad Ancona, nelle Marche, è entrato in vigore il divieto di utilizzare posate, piatti, bicchieri, cannucce monouso in materiale plastico non biodegradabile e/o compostabile lungo le spiagge e i litorali del territorio comunale (ordinanza comunale 31/2019).
L’ordinanza deve essere rispettata anche dagli esercenti le attività artigianali e commerciali in sede fissa e su aree pubbliche per il consumo sul posto, le attività di somministrazione di alimenti e bevande permanenti e temporanee, le attività di catering, le attività balneari e qualsiasi organizzatore di eventi, manifestazioni, sagre e degustazioni. Per i trasgressori è prevista una sanzione da 77 a 500€.
Si tratta senza dubbio di iniziative positive ed interessanti ma per cercare di ottenere i migliori risultati sono indispensabili direttive suggerite dall’alto, applicate in maniera armonizzata e diffusa e controlli per il rispetto delle stesse.
Autore: Dott. Stefano Gabrio Manciola