L'utilizzo di modelli animali nella ricerca si rende necessario al fine di valutare gli effetti farmacologici o tossici di una sostanza, per stabilire l'efficacia e l'innocuità dei vaccini, per testare nuove tecniche chirurgiche o l’impianto di organi artificiali, per studiare i meccanismi fisiologici ed anche per ottenere materiale biologico sia per la ricerca che per la terapia.
In questi ultimi anni comunque stiamo assistendo ad una limitazione nel loro utilizzo grazie a nuove normative.
In tutta Europa, già dal 2009, sono stati vietati i test sugli animali per prodotti cosmetici mentre dal 2013 è stato introdotto il divieto di vendere prodotti che contengono ingredienti sviluppati appositamente per il campo della cosmesi che siano stati testati su animali, in qualunque parte del mondo (Art. 18 Regolamento CE n.1223/2009).
Anche in Italia il numero di animali adoperati per la sperimentazione è in continua diminuzione: in linea con i principi di riduzione e sostituzione si è passati dalle 777.731 unità del 2010 alle 581.935 del 2015 (G.U. Serie Generale, n. 95 del 24 aprile 2017) e rispetto al 2014 si è evidenziata una riduzione del 15,8%, quasi 110.000 unità in meno. Una tendenza oramai consolidata nel nostro Paese che conferma il rigore nell’applicazione del Decreto Legislativo n. 26 del 4 marzo 2014.
Tale normativa è frutto del recepimento della Direttiva 2010/63/UE sulla Protezione degli animali utilizzati a fini scientifici ma la legge italiana è stata più restrittiva di quella europea poiché si è caratterizza per una molteplicità di divieti, molti dei quali previsti dall'articolo 5. Tra questi ricordiamo il divieto di usare gli animali da laboratorio per ricerche su sostanze d'abuso (droga, tabacco, alcool) e sugli xenotrapianti (trapianto di uno o più organi tra animali di specie diverse). Secondo l'Art. 42, tali disposizioni dovevano entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2017 ma il 14 febbraio 2017 la Commissione Affari Costituzionale del Senato ha approvato a maggioranza l'emendamento De Biasi-Cattaneo che concede 3 anni di proroga spostando lo stop definitivo al 2020 anche se i ricercatori avevano avanzato la richiesta di una proroga di 5 anni (tempo minimo necessario per accedere ai finanziamenti europei per i progetti di ricerca).
Dal 1° gennaio 2017 inoltre tutti gli stabilimenti di allevamento, di fornitura e di utilizzazione devono possedere i requisiti previsti dall'allegato III del Decreto n. 26/2014 sezione I e II (Art. 22) in modo tale che gli impianti e le attrezzature siano idonei alle specie animali ospitate e allo svolgimento delle relative attività.
Altra scadenza fissata per l'anno 2017 è il 10 novembre: tutti gli animali allevati possono essere utilizzati unicamente nelle procedure per le quali sono stati allevati tuttavia i primati non umani elencati nell'allegato II, alle date qui stabilite, possono essere impiegati nelle procedure solo se discendono da primati non umani allevati in cattività o provengono da colonie autosufficienti (animali allevati all’interno della stessa colonia o che provengono da altre colonie ma non sono prelevati allo stato selvatico e sono abituati alla presenza umana). La Commissione, in consultazione con gli Stati membri e le parti interessate, effettua uno studio di fattibilità, che include una valutazione della salute e del benessere di tali animali e lo pubblica entro il 10 novembre 2017 con eventuali proposte di modifica dell’allegato II (Art. 10 Direttiva).
Inoltre, sempre in data 10 novembre, la Commissione deve fare un riesame di tutta la Direttiva tenendo conto dei progressi sulla messa a punto di metodi alternativi che non implicano l'uso di animali, in particolare di primati non umani, e propone eventuali modifiche (Art.58 Direttiva).
Una novità introdotta dal Decreto riguarda lo sviluppo, la convalida, l’accettazione e l’applicazione di "metodi alternativi", procedure che consentono di ridurre e/o evitare il ricorso all’utilizzo di animali nella sperimentazione scientifica. Secondo l’articolo 37, infatti il Ministero della Salute è chiamato a promuovere lo sviluppo e la ricerca di approcci alternativi, che non prevedono l’uso di animali o li utilizzano in un minor numero o che comportano procedure meno dolorose. La loro convalida avviene attraverso un preciso iter presso l'EURL ECVAM (European Union Reference Laboratory for alternatives to animal testing) che è il Laboratorio di Riferimento dell’Unione Europea deputato alla validazione dei metodi alternativi. Tale organismo è ospitato presso il Joint Research Centre, Institute for Health and Consumer Protection (IHCP) in Italia, ad Ispra (VA). Oltre alle validazioni, a sua volta propone, sviluppa e diffonde metodi e approcci alternativi.
Ogni Stato membro raccoglie le richieste presentate dai laboratori nazionali interessati ad essere riconosciuti come laboratori abilitati per lo sviluppo e la convalida di metodi alternativi ed inoltra, quelle ritenute idonee, alla Commissione UE e al Laboratorio di Riferimento UE per il riconoscimento. Ad oggi sono stati individuati 38 laboratori europei e tra questi 8 sono italiani.
Ciascun Paese membro ha inoltre l’obbligo di individuare “Punti di contatto nazionali” (Art. 47 Direttiva) che hanno il compito di coordinare i vari gruppi di lavoro a livello nazionale e raccordare il loro operato con l'Autorità Competente Centrale e il Laboratorio di Riferimento dell’Unione Europea. In Italia, il Ministero della Salute ha nominato come punto di contatto il Centro di Referenza Nazionale per i Metodi Alternativi, Benessere e Cura degli Animali da Laboratorio, con sede presso l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna (IZSLER).