Il Reg. (CE) n. 853/2004 oltre a stabilire i requisiti igienici per i molluschi bivalvi ed i prodotti della pesca, fornisce anche le seguenti definizioni.
I “prodotti della pesca” sono: tutti gli animali marini o di acqua dolce (ad eccezione dei molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi e gasteropodi marini vivi e di tutti i mammiferi, rettili e rane), selvatici o di allevamento e tutte le forme, parti e prodotti commestibili di tali animali. Sono, invece, considerati “prodotti di origine animale”, dal medesimo regolamento, i molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi e gasteropodi marini vivi destinati al consumo umano.
In gastronomia, invece, si usa parlare di frutti di mare per Indicare quegli alimenti di origine animale, derivati da organismi acquatici invertebrati appartenenti al gruppo dei molluschi e crostacei.
Fonte: https://www.efsa.europa.eu/it/news/vibrio-bacteria-seafood-increased-risk-due-climate-change-and-antimicrobial-resistance
I prodotti alimentari di origine acquatica sono una fonte proteica molto importante (15-20%) e forniscono anche un buon apporto di acidi grassi polinsaturi omega-3 (soprattutto il pesce azzurro), sali minerali e vitamine, tanto è vero che il Ministero della Salute ne consiglia il suo consumo almeno 2-3 volte alla settimana nell’ambito di una sana e corretta alimentazione. Proprio per il ruolo che essi svolgono nelle diete equilibrate, si sta assistendo ad un aumento del consumo dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, seppure in maniera variabile in relazione a fattori culturali ed economici, tant’è che la FAO nel suo rapporto del 2022 ha stimato un aumento del consumo pro-capite di tali prodotti nel 2030 di 21,4 Kg rispetto ai 20,6 Kg del 2016. Tale incremento, associato anche al crescente consumo di prodotti crudi, non è del tutto privo di rischi nell’ambito della sicurezza alimentare. Infatti, anche la filiera della pesca non è esente da pericoli fisici, chimici e biologici che possono causare danni alla salute del consumatore. Dal punto di vista microbiologico i principali microrganismi che si possono isolare dai prodotti della pesca derivano direttamente dall’ambiente marino e sono influenzati dalla temperatura dell’acqua in cui vivono i pesci e dalla concentrazione di sale (alotolleranti o alofili); nonché da contaminazioni secondarie per il mancato rispetto delle norme igieniche nei pescherecci o negli stabilimenti a terra.
Tra i vari microrganismi si focalizzerà l’attenzione sugli aspetti di sanità pubblica dei Vibrio spp. correlati al consumo di frutti di mare in Europa, in quanto essi sono stati oggetto di parere EFSA, pubblicato a luglio 2024.
I Vibrioni sono batteri acquatici Gram negativi, aerobi-anaerobi facoltativi, asporigeni, mesofili, vivono nelle acque marine e salmastre di tutto il mondo, si riscontrano più frequentemente durante le stagioni più calde e nelle aree temperate e comprendono sia specie saprofite sia specie patogene per l’uomo. Queste ultime sono responsabili di gastroenteriti da lievi a gravi negli esseri umani a seguito di consumo di frutti di mare o molluschi crudi o poco cotti. Inoltre, l’acqua contenente vibrioni può provocare, per contatto diretto, ferite cutanee e, seppure raramente, setticemia.
Fonte: https://www.izsvenezie.it/temi/malattie-patogeni/vibriosi/
I principali fattori che consentono ai Vibrio di sopravvivere e moltiplicare sono: 1) temperatura: proliferano in condizioni di caldo, per cui le temperature elevate favoriscono la loro crescita (temperatura ottimale 37°C). In laboratorio crescono a temperature >17°C fino a 30-40°C; 2) salinità: necessitano di una moderata concentrazione di sale (5-25 ppt), per cui prediligono le acque a bassa salinità e salmastre. Pertanto i cambiamenti climatici con le ondate di calore degli ultimi anni, eventi meteorologici estremi, il riscaldamento delle acque marine, associato ad acque a bassa salinità o salmastre stanno creando un ambiente ottimale per un potenziale incremento di questi batteri nei prodotti della pesca a livello mondiale con conseguente aumento delle infezioni da Vibrio ed eventuale selezione di nuove varianti. Inoltre, secondo alcuni autori, questo gruppo di patogeni rappresenta un barometro importante del cambiamento climatico nei sistemi marini (Baker-Austin et al., 2017). Infatti, recentemente, questi microrganismi hanno raggiunto aree del mondo, considerate ostili con focolai segnalati nel Mar Baltico, in Alaska, Canada, costa orientale degli Stati Uniti e Cile per incursione di acque anomale e calde nella regione. Infine sono tanti gli studi che hanno mostrato chiaramente l'interazione tra le temperature anomale dell'acqua di mare e la trasmissione della malattia.
Se, poi, a questa situazione aggiungiamo il maggiore consumo di prodotti ittici crudi, l’aumento di persone particolarmente suscettibili ed il riscontro, in alcune specie di vibrioni, di resistenza agli antibiotici di ultima generazione, possiamo capire le motivazioni da parte degli scienziati dell’EFSA di implementare la ricerca dei Vibrio nei prodotti ittici.
Nell’Unione Europea le principali specie di Vibrio rilevanti per la salute pubblica ed oggetto di valutazione da parte dell’EFSA sono: Vibrio cholerae (sierogruppi O1 o O139), agente eziologico del colera; Vibrio parahaemolyticus (non tutti i ceppi sono patogeni), responsabile di gastroenteriti acute, anche in soggetti sani, per ingestione di molluschi o crostacei crudi contaminati; Vibrio cholerae non –O1-non-O139, occasionalmente presente in altre materie prime come verdure crude e cibi pronti in genere, responsabile di gastroenterite da lieve a grave fino a sepsi e morte in soggetti vulnerabili; Vibrio vulnificus, un patogeno opportunista, responsabile di lesioni cutanee importanti e che in individui con condizioni di salute predisponenti (ad es., malattie epatiche croniche, emocromatosi, immunodeficienza) può rapidamente portare a setticemia fatale. Altre specie di Vibrio, seppure meno rilevanti per la salute pubblica, quali V. alginolyticus, V. fluvialis e V. mimicus, occasionalmente, e soprattutto in individui con condizioni precarie di salute, possono provocare infezioni associate al consumo di frutti di mare.
Infine ci sono specie di Vibrio e alcuni ceppi di V. parahaemolyticus e V. vulnificus che possono provocare vibriosi negli animali acquatici, con conseguente impatto negativo sulla produzione animale (De Souza Valente & Wan, 2021).
Diversi sono i fattori di virulenza (VF) delle specie patogene di Vibrio che consentono la loro colonizzazione e diffusione negli ospiti, alcuni dei quali sono presenti in tutte le specie, come capsula e mobilità di flagelli e pili; altri fattori, invece, sono specifici di determinate specie o ceppi, come il V. parahaemolyticus la cui patogenicità è associata alle emolisine TDH (thermostable direct haemolysin) e TRH (TDH-related haemolysin). A questi, poi, si aggiungono i fattori predisponenti dell’ospite; fattori ambientali, come temperatura (prevalenza di V. parahaemolyticus durante le stagioni più calde, da aprile ad ottobre, con temperatura media > 16,45°C), salinità dell’acqua, radiazioni solari e UV (facilitano l’inattivazione), ossigeno disciolto, clorofilla e fattori intrinseci all’alimento, come pH (ottimale di crescita 7,6–7,8), attività dell’acqua libera degli alimenti (crescita ottimale con aw da 0,94 a 0,98), presenza di nutrienti, soprattutto ferro. Altri meccanismi che intervengono nella resistenza dei Vibrio nell’ambiente acquatico sono lo stato vitale ma non coltivabile, uno stato di ridotta attività metabolica caratterizzato da una maggiore resistenza agli stress ambientali, la formazione di biofilm su superfici biotiche ed abiotiche e l’associazione con altri organismi acquatici che fungono da serbatoi. La capacità di formare biofilm, soprattutto da parte di V. parahaemolticus, comporta la necessità di pulire e disinfettare gli ambienti in cui vengono manipolati i frutti di mare.
A livello europeo, sulla base di dati disponibili riguardanti tutte le categorie di prodotti della pesca, seppure con la variabilità legata alle abitudini alimentari nei diversi paesi, al periodo di campionamento, ai fattori ambientali (temperatura e salinità), alla classificazione sanitaria delle aree di produzione per i molluschi bivalvi, la prevalenza complessiva va dal 19,6%, di V. parahaemolyticus, più elevata nei molluschi bivalvi (27,8%) e nei gasteropodi (28,8%) e con un campione su cinque contenente ceppi patogeni (TDH+ e/o TRH+), al 6,1% di V. vulnificus, più alta per i molluschi bivalvi (9,9%) ed al 4,1% di V. cholerae non colerico. Ciò significa che la via di esposizione consolidata per l’uomo è il consumo di frutti di mare, soprattutto bivalvi, crudi o non completamente cotti, seguito dai crostacei e pesci. L’esposizione è però influenzata anche da altri fattori come la conservazione, il trasporto a temperature inadeguate, la manipolazione di alimenti infetti o il contatto con acqua di mare contaminata.
Nell’Unione Europea tra il 2010 ed il 2020 sono stati segnalati casi di tossinfezione da consumo di crostacei, molluschi e prodotti derivati causati da V. parahaemolyticus che ha portato all’ospedalizzazione di parte dei soggetti colpiti. Come descritto in precedenza la sua patogenicità è legata alla produzione di emolisine TDH e TRH. Pertanto esso è la specie più frequentemente associata al consumo alimentare nell’UE, seguita da V. cholerae non O1/non O139, mentre la trasmissione alimentare di V. vulnificus è raramente documentata nell’UE.
Gli aspetti di sanità pubblica dei Vibrio associati ai frutti di mare sono stati presi in considerazione da un gruppo di esperti dell’EFSA che ha estrapolato i dati dal sistema RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed) a partire dal 2010, nonché dal database di monitoraggio delle zoonosi dell’EFSA (https://www.efsa.europa.eu/en/microstrategy/FBO-dashboard), in quanto la loro segnalazione è obbligatoria per gli Stati membri dell’UE, in conformità alla Direttiva 2003/99/CE, recepita in Italia dal D.Lvo 191/2006, sulle misure di sorveglianza delle zoonosi. Nello specifico la Vibriosi ed i relativi agenti zoonotici, compaiono nell’All. I, parte B del decreto sopra citato delegando, però alle regioni e province autonome di sottoporre a sorveglianza tali agenti in funzione della situazione epidemiologica (art. 4 D.Lvo 191/2006). Tuttavia, ad eccezione del colera, a livello europeo non vi è una sorveglianza armonizzata delle infezioni da Vibrio, pertanto i dati disponibili sono sottostimati, perché solo in alcuni Stati la Vibriosi è soggetta a notifica. Ad esempio, nel periodo 2010-2021 sono stati segnalati 32 casi di tossinfezione alimentare da Vibrio di cui 23 in Francia, 8 in Spagna e 1 in Portogallo, dove il maggiore responsabile è stato il V. parahaemolyticus, mentre nel periodo 2018-2022 l’Italia ha segnalato 2 casi da Vibrio spp. ed 1 caso da Vibrio parahaemolyticus.
Patogenicità e virulenza
La patogenicità è la capacità dei Vibrio di causare la malattia nell’uomo, mentre la virulenza è la capacità di causare danni.
V. parahaemolyticus provoca gastroenterite acuta anche nei soggetti sani, in seguito al consumo di pesce o frutti di mare crudi o poco cotti, con diarrea acquosa (nei casi più gravi diarrea sanguinolenta), dolore addominale, febbre, vomito, nausea, affaticamento e mal di testa. L’infezione, generalmente, nei soggetti sani, dura da 1 a 10 giorni, mentre in quelli con condizioni precarie di salute ed immunodepressi, occasionalmente evolve in setticemia (Ceccarelli et al., 2019).
V. vulnificus può infettare sia esseri umani che pesci ed è considerato zoonotico perché può essere trasmesso dai pesci infetti agli esseri umani. Infatti questi ultimi possono infettarsi sia mangiando frutti di mare crudi sia per contatto con l’acqua di mare, sviluppando ferite gravi che in entrambi i casi possono portare alla sepsi in soggetti con stato di salute compromesso, fino alla morte, mentre nei soggetti sani raramente la malattia evolve in setticemia. Secondo alcuni autori i fattori di rischio più documentati per questo microrganismo sono le malattie epatiche croniche, l’emocromatosi, il diabete mellito, le neoplasie maligne e le malattie delle vie biliari (Hernández-Cabanyero e Amaro, 2020). Particolarmente diffuso negli Stati Uniti e con tasso di mortalità del 33%. Questa specie è altamente variabile, e diversi studi dimostrano che tutti i ceppi di V. vulnificus dovrebbero essere considerati potenzialmente patogeni per l’uomo (Roig et al., 2018).
V. cholerae è classificato in base al suo principale antigene di superficie (O) in circa 200 sierogruppi, ma solo 2 sierogruppi, O1 e O139, sono associati alla produzione di tossina colerica, mentre i ceppi di V. cholerae non O1/non O139 sono generalmente privi di tossina, tranne poche eccezioni. Infatti, essendo la tossina codificata nel genoma di un batteriofago filamentoso, si è ipotizzato che questi ultimi ceppi, occasionalmente, possano acquisire i geni per la produzione della tossina colerica. Generalmente questo Vibrio provoca gastroenterite lieve, ma, occasionalmente in soggetti suscettibili, può causare infezioni delle ferite, necrosi tissutale o sepsi e mortalità (Igere et al., 2022).
La gravità delle infezioni dipende dall’interazione tra i geni di virulenza specifici del patogeno e la risposta immunitaria dell’ospite e la capacità dell’ospite stesso di eliminare il patogeno. Questa relazione è soprattutto importante per le infezioni da V. vulnificus e V. cholerae.
La virulenza di questi batteri è legata a diversi fattori, alcuni dei quali sono presenti in tutte le specie, come la capsula, la mobilità flagellare ed i pili, altri, invece, sono specifici di determinate specie o di singoli ceppi.
La patogenicità di V. parahaemolyticus, come già descritto, è associata alle emolisine TDH e TRH.
Antimicrobico resistenza
La resistenza agli antimicrobici (AMR) è definita dalla Direttiva 2003/99/CE “sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici”: la capacità di determinate specie di microrganismi di sopravvivere, se non addirittura di crescere, in presenza di una data concentrazione di un agente antimicrobico sufficiente di solito ad inibire la crescita o ad uccidere microrganismi della stessa specie.
Fonte: https://www.izsvenezie.it/corso-ecm-online-antimicrobico-resistenza-one-health/
Ciò significa che in presenza di un agente patogeno la terapia non avrebbe alcun effetto.
In merito ai Vibrio, provenienti da isolati clinici correlati a tossinfezione alimentare o direttamente dai frutti di mare, sono stati segnalati elementi genetici mobili di resistenza agli antimicrobici, La capacità di resistenza di questi batteri, potenzialmente patogeni attraverso gli alimenti, agli antimicrobici, inclusi quelli di ultima generazione, costituisce una minaccia per i consumatori, in quanto le infezioni potrebbero essere resistenti al trattamento antibiotico. Diversi studi condotti sugli isolati clinici di Vibrio parahaemoliticus e V cholerae non O1/non O139 hanno osservato una certa prevalenza di resistenza (dal 30 al 100%) nei confronti della polimixina B, colistina, ampicillina, streptomicina, sulfonamidi, alcuni aminoglicosidi, β-lattamici ed infine carbapenemi. In particolare è stato dimostrato che i geni della carbapenemasi sono diffusi nell’ambiente acquatico e nei batteri degli animali acquatici destinati all’alimentazione, per cui essi possono essere trasferiti nella catena alimentare.
I Vibrio acquisiscono l’AMR attraverso mutazioni all’interno dei batteri e tramite trasferimento genico orizzontale attraverso i plasmidi. Inoltre, questi batteri possono trasferire i geni AMR al microbiota dei consumatori (Brisabois et al., 2019).
Gli antimicrobici sono usati in acquacoltura, in quanto diverse malattie degli animali da allevamento sono causate da specie di Vibrio, per cui, visto che tali prodotti sono in grande maggioranza importati, essi potrebbero costituire una minaccia per il consumatore europeo.
Generalmente le infezioni gastrointestinali da Vibrio spp sono autolimitanti, pertanto non è raccomandato l’utilizzo degli antimicrobici, ad eccezione dei casi gravi ed in presenza di soggetti con stato di salute precario.
A livello europeo, la Decisione di esecuzione UE 2020/1729 relativa al monitoraggio e alle relazioni riguardanti la resistenza agli antimicrobici dei batteri zoonotici e commensali, per il periodo 2021-2027, non prende in considerazione il monitoraggio dell’AMR nei Vibrio spp. A questo proposito l’EFSA ha proposto di effettuare indagini preliminari sull’AMR nei batteri provenienti dall’acquacoltura e sui relativi prodotti importati prendendo in considerazione i Vibrio (V. parahaemolyticus e V. alginolyticus nei mitili).
Misure di prevenzione e controllo dei Vibrio lungo la filiera ittica
Sono diversi i sistemi di prevenzione e controllo, a partire dalla depurazione, seppure con alcune variabili, ai trattamenti termici (refrigerazione, cottura, congelamento), l’impiego di elevate pressioni, uso di additivi. Entrando maggiormente nel dettaglio, per prevenire la moltiplicazione dei vibrioni lungo la filiera ittica è importante mantenere la catena del freddo, dalla cattura al punto vendita, soprattutto nel caso di prodotti che per tradizione o abitudini alimentari sono destinati ad essere consumati crudi. È stato osservato che l’abuso termico durante la lavorazione, il trasporto o lo stoccaggio può consentire al V. parahaemolyticus di crescere a concentrazioni elevate nei frutti di mare. Un altro metodo efficace per ridurre la contaminazione è il congelamento rapido, seguito dalla conservazione allo stato congelato in seguito al danno cellulare causato dalla formazione dei cristalli.
Fonte: https://www.aslroma2.it/attachments/article/903/PL11%20BROCHURE%20CATENA%20DEL%20FREDDO.pdf
Altri metodi previsti dal Reg. CE n 853/2004 sono la depurazione/stabulazione e la trasformazione. Tralasciando i requisiti previsti dal Regolamento in merito a questi processi, è stato osservato che, sebbene la depurazione, grazie alla capacità di filtrazione dei molluschi, sia efficace per la rimozione di batteri enterici, non ci sono evidenze positive in merito alla rimozione di Vibrio spp e comunque la depurazione deve essere associata ad altri parametri, quali tempo, temperatura, salinità, rapporto prodotto/acqua. Infatti, la depurazione da 4 a 6 giorni, a bassa temperatura, elevata salinità ed acqua corrente hanno ridotto efficacemente il numero di V. vulnificus e V. parahaemolyticus nelle ostriche (Campbell et al. 2022). I molluschi bivalvi provenienti da zone di produzione B e C che non hanno subito la depurazione o stabulazione, come previsto dal Reg. CE n. 853/2004, devono essere sottoposti ad un trattamento presso uno stabilimento di trasformazione, tra quelli previsti dal medesimo regolamento, per eliminare i microrganismi patogeni. La cottura, infatti è un metodo affidabile per garantire l’inattivazione dei Vibrio.
Anche le tecnologie che sfruttano le elevate pressioni o le irradiazioni agiscono sulla riduzione dei livelli di V. vulnificus e V. parahaemolyticus, oltre che su altri microrganismi patogeni. In Italia, però, l’uso delle radiazioni come antigermoglio è consentito per patate, cipolla ed aglio, mentre in altri Paesi (Francia, Belgio, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca) si possono utilizzare su frutta, ortaggi, cereali, carni di pollo, prodotti ittici. Infatti, gli Stati membri possono autorizzare a livello nazionale l’irradiazione di alimenti ed ingredienti, previo parere favorevole del Comitato scientifico dell’alimentazione umana. Tale Comitato ha raccomandato una dose fino a 3 kGy per il trattamento di pesci e molluschi al fine di ridurre efficacemente i batteri patogeni non sporigeni.
L’utilizzo dei solfiti sui gamberi, additivo autorizzato per prevenire la melanosi, è un altro metodo in grado di ridurre il numero di V. cholerae durante la conservazione refrigerata per 14 giorno, rispetto ai gamberi non trattati.
Infine, ma non per ordine di importanza, tenendo presente che il consumo di frutti di mare crudi in estate può aumentare il rischio di gastroenterite da Vibrio, per prevenire la Vibriosi trasmessa dagli alimenti è di fondamentale importanza l’educazione dei consumatori, tramite le seguenti regole:
1) riporre i frutti di mare in frigorifero il più rapidamente possibile;
2) rispettare le buone pratiche igieniche durante la manipolazione e la preparazione degli alimenti evitando il contatto tra cibi cotti e crudi per prevenire la contaminazione crociata;
3) evitare di mangiare frutti di mare crudi o poco cotti se si è affetti da malattia epatica cronica o si è immunodepressi.
Attività future
L’EFSA raccomanda di effettuare delle indagini preliminari a livello UE sui Vibrio, di rilevanza per la sanità
pubblica, nei frutti di mare. Tali indagini dovrebbero contenere: protocolli armonizzati di campionamento;
metodi analitici standardizzati (metodi analitici quantitativi basati ad es. su MPN/PCR per l’enumerazione
dei Vibrio spp rilevanti e dei ceppi TDH/TRH di V. parahaemolyticus, inclusi test sierologici per l’identificazione
di V. cholerae O1 e O139); caratterizzazione degli isolati di Vibrio parahaemolyticus di origine clinica,
alimentare ed ambientale utilizzando la tecnica del sequenziamento dell’intero genoma (WGS) per la
patogenicità (geni TDH e TRH) e di V. cholerae per il sierotipo e la presenza di determinanti genetici della
tossina del colera.
Fonte:https://www.pngwing.com/
Tali indagini dovrebbero essere svolte a livello di produzione primaria, raccogliendo i dati sulle condizioni ambientali nei siti di campionamento ed in fase di vendita al dettaglio, sulle condizioni del trasporto, stoccaggio, origine (paese di importazione, area di pesca FAO). L’indagine dovrebbe anche riguardare l’identificazione dei siti sentinella al fine di conoscere la tendenza temporale dei Vibrio, come studio a lungo termine. Inoltre, effettuare indagini sulla prevalenza di AMR dei Vibrio spp nei frutti di mare, includendo quelli isolati dagli animali di acquacoltura di provenienza UE e non UE; intraprendere studi ecologici sull’interazione Vibrio spp e zoo/fito-plancton con maggiore comprensione dei fattori di virulenza; sviluppare e convalidare modelli statistici che correlano fattori ambientali (prevalentemente temperatura e salinità) e la presenza di Vibrio spp, in particolare V. parahaemolyticus, nelle aree di produzione dei prodotti ittici, raccogliendo dati della loro presenza nelle diverse stagioni e studiando la loro tendenza associata al cambiamento climatico, creando mappe di rischio ambientale (strumento predittivo per indirizzare il campionamento verso periodi/aree di rischio più elevato); sviluppare modelli di microbiologia predittiva per i Vibrio spp considerando le informazioni sulle epidemie, la virulenza del ceppo, patogenicità e sensibilità dell’ospite; comunicare sistematicamente i dati della presenza dei Vibrio spp. nei frutti di mare nell’ambito dei programmi di monitoraggio nazionali delle zoonosi.
Autore:
Dr.ssa A. Marisa Semeraro
AST Ascoli Piceno
La presente nota è stata redatta per l’attuazione degli Obiettivi Strategici del PNP 2020-2025 relativamente alle malattie a trasmissione alimentare per la Regione Marche